Franco Cardini, Sergio Valzania, L’invenzione di un continente. L’Europa dalla Lega di Delo alla Prussia di Bismark, Mondadori, 2025

da | Dic 11, 2025 | Saggi e Articoli

Recensione di Luigi Lama

Pubblicato in Il Progetto, N 11, 2025

Guardiano il planisfero del nostro pianeta. Quanti continenti vediamo? Cinque: America del Nord, America del Sud, Africa, Oceania e Eurasia. Quest’ultimo fisicamente ci appare un unico continente, più compatto alla nostra destra e più frastagliato sulla sinistra, il lato europeo.

La separazione fra Europa e Asia non è fisica. È culturale.

Come è nata e si è mantenuta la concezione di dare una identità a queste terre e distinguerle dalle altre? Ce lo raccontano Franco Cardini e Sergio Valzania in “L’invenzione di un continente”.

Il primo è noto soprattutto in quanto storico del medioevo, il secondo come autore radiofonico e televisivo. Entrambi sono orientati alla divulgazione scientifica. In questa opera i due autori ripercorrono 2500 anni di storia segnando le principali tappe politico-culturali in cui questo continente ha realizzato forme di unità. L’Europa è una parte modesta dell’Eurasia, fisicamente frastagliato, diviso in popoli per lo più in conflitto fra loro, che in alcuni periodi ha trovato varie forme di unificazione politica, risultato di conquiste militari o composizioni dinastiche. C’è una unica eccezione: l’ultima unione fra alcuni paesi è volontaria. Avviata da sei di loro a metà del secolo scorso oggi ne raggruppa 27. Un fatto senza precedenti nella storia umana.

L’idea di una unità europea viene da lontano. Un primo embrione è la Lega di Delo istituita e condotta da Atene nel 454 a.C. È nella Lega di Delo che gli autori trovano la prima traccia di una possibile Europa politica. Non consiste nelle dimensioni e nell’area geografica coinvolta bensì nella identificazione di quell’esperienza come fondativa della storia politica e culturale europea. Una visione che si riapre nel XV secolo con la riscoperta della classicità. Omero e Virgilio, Tito Livio, Cesare e Plutarco costituiscono ancora oggi una «base del sapere comune delle classi dominanti europee».

I greci sono i primi a definirsi “occidentali” in riferimento al loro principale avversario, l’impero persiano, nonostante che non vi sia di per sé alcun elemento geografico su cui basarsi. La Terra è una sfera e tutti i popoli che la abitano sono occidentali di qualcuno e orientali di qualcuno altro. Venti secoli dopo le esplorazioni e le conquiste di territori da parte degli europei si sposano felicemente con il considerarsi eredi di quei greci che «si sentivano depositari di una forma di civiltà superiore alle altre, fondata sulla libertà personale di quanti disponevano dello status sociale di cittadini, ossia erano di sesso maschile, di condizione non servile e di età maggiore ai trent’anni».

La prima formazione politica di dimensioni continentali è l’impero romano. Assieme al coevo impero cinese (formatosi nel 221 a.C. ma durato fino al 1912!) Roma ha costituito uno dei «due poli politicamente e tecnologicamente più avanzati del continente euroasiatico». Quello occidentale si formò attorno a un mare interno, il Mediterraneo. Mare che fu la principale via di comunicazione, affiancato dal compimento di un sistema viario insuperato per secoli. Oltre che costruttori di imponenti realizzazioni architettoniche ancora esistenti in tutto il territorio dell’impero, i romani furono consapevoli dell’importanza della moneta come mezzo di comunicazione. In epoca classica essa costituiva l’unico media a circolare in un numero elevatissimo di esemplari in un’area molto estesa. Nello steso periodo niente di simile si verificava in Cina o in India. Inoltre nel periodo imperiale vi furono le prime riflessioni teoriche sulla politica monetaria e i primi tentativi di effettuare operazioni di controllo dei prezzi.

Cardini e Valzania evidenziano che nella mitologia romana è ricorrente il tema dell’inclusione: «Enea, l’eroe che collega Roma a Troia (…) è lo straniero in cerca di una patria». Rispecchia «il tratto politico dominante nelle modalità espansive romane (…) la capacità inclusiva attraverso l’integrazione dei gruppi dirigenti dei popoli vinti».

È una considerazione che mi ha fatto tornare in mente come nel 47 d.C. l’imperatore Claudio convinse un Senato riluttante ad ammettere alcuni cittadini Galli all’interno delle istituzioni e delle magistrature romane. Tacito racconta che la discussione fu violentissima. «Insomma, un tempo erano bastati i Romani!» gridavano gli oppositori. Tacito spiega che Claudio seppe convincere il Senato, senza imporre la decisione. Ricordò ad alcuni senatori le lontane origini della loro famiglia. Erano Etruschi, Sanniti, Greci, che avevano duramente combattuto contro Roma. Ora erano parte dell’élite dirigente dell’impero. Evidenziò come un’altra grande civiltà, quella ateniese, non aveva mai accettato di allargarsi agli stranieri. «E come è finita? Ora ad Atene e Sparta comandiamo noi». La proposta passò e il Senato fu aperto anche ai Galli.

Quattro secoli dopo, con il crollo dell’impero romano d’occidente, l’unità politica dell’Europa si frantuma. Sopravvive per un altro millennio la parte orientale dell’impero, con capitale Costantinopoli, mentre l’affermazione dell’islam arabo nel VII secolo fa ruotare la linea geopolitica divisoria del Mediterraneo dalla polarità est-ovest a quella nord-sud.

La ricomposizione politica dell’occidente è compiuta è da Carlo Magno, incoronato imperatore dei romani da papa Leone III nella basilica di San Pietro la notte di Natale dell’800. Il suo centro però non è più Roma, è al di là delle Alpi. Il regno di Carlo Magno ha una durata eccezionale, 45 anni, superiore alla vita media del periodo, e gli permette una profonda riorganizzazione amministrativa, fiscale e militare dei territori. Alla base di tutto c’era l’assegnazione della gestione di zone definite a persone giudicate meritevoli e affidabili dal sovrano. È proprio il sistema che portò alla frammentazione del potere centrale attraverso la trasmissione ereditaria del potere locale.

Oltre 700 anni dopo, il 28 giugno 1510, Carlo d’Asburgo fu nominato imperatore, diventando Carlo V. Governa un territorio di gran lunga superiore all’impero romano. Il suo potere si estende su una pluralità di popolazioni con lingue, culture, sistemi sociali ed economici differenti. Un potere indiretto e non uniforme condizionato dai “privilegi” di principati, libere città e istituzioni che ne impediscono l’effettiva unità.

Due grandi innovazioni tecnologiche connotano quell’epoca: la stampa a caratteri mobili e l’artiglieria. L’invenzione di Gutemberg è del 1450: in pochissimo tempo ebbe enormi effetti in tutti i campi, dalla cultura all’economia, dalla religione alla politica. E, fra l’altro, veicola la riscoperta e la diffusione fra le classi dirigenti dei classici dell’antichità che abbiamo detto all’inizio.

L’artiglieria rese obsoleti i castelli, che avevano consentito alla piccola e media nobiltà di controllare un territorio suddiviso in feudi di dimensioni ridotte. Il controllo del territorio torna ai poteri centrali dopo circa un millennio, pur con tutti i limiti detti.

Sono i decenni in cui, evidenziano Cardini e Valzania, «il potere politico europeo iniziò allora una brutale proiezione verso il resto del mondo che non si sarebbe più arrestata, conoscendo stagioni diverse (…) L’interesse per altri luoghi e altri popoli, manifestato con pretese diverse, da portare la civiltà a fornire ideologie per l’organizzazione politica, da procurare gli strumenti per la gestione dell’economia a imporre tecnologie, non si sarebbe spento, continuando a presentarsi in forme differenziate, raramente di vera utilità per quanti lo incontravano. O ne erano vittime»

Nel proseguo Cardini e Valzania segnalano altri due momenti storici in cui riemerge una dimensione politica europea: l’impero napoleonico e la unificazione della Germania condotta dalla Prussia guidata dal cancelliere Bismark.

Per secoli nell’Europa, che dominava il mondo, la pretesa di poteri nazionali di divenire egemoni ha scatenato guerre che hanno dilaniato e dissanguato il continente. Raggiunge il culmine con le due guerre mondiali. I due autori sottolineano: «Nel 1945 ebbe termine un trentennio di combattimenti feroci (…) che avevano fatto sessanta milioni di morti, in maggioranza civili, senza contare le vittime della Shoah. L’Europa, che all’inizio del XX secolo si presentava come un faro di civiltà (…) era fiaccata economicamente, confusa sul piano morale, politicamente marginale, tagliata in due dalla cortina di ferro».

Nel 1941, quando non si vedeva la fine del dramma della seconda guerra mondiale e, addirittura, sembrava probabile la vittoria nazifascista, Eugenio Colorni, Ernesto Rossi e Altiero Spinelli, scrivono il Manifesto per un’Europa libera e unita, meglio noto come Manifesto di Ventotene, l’isola dove erano confinati in quanto antifascisti. Già un decennio dopo il progetto di unità europea prende il via con il Trattato di Parigi del 18 aprile 1951. Su iniziativa dei francesi Jean Monnet e Robert Schuman, del cancelliere tedesco Konrad Adenauer e del Presidente del Consiglio italiano Alcide De Gasperi si costituisce la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA). È creata da sei paesi, Belgio, Francia, Germania Occidentale, Italia, Lussemburgo, Olanda con lo scopo di mettere in comune le produzioni di queste due materie prime, essenziali per lo sviluppo industriale dell’epoca. Nel 1957 viene costituita la Comunità Economica Europea (CEE), divenuta Unione Europea nel 1992.

Oggi le sfide e le speranze continuano per mantenere e consolidare una cultura che ha generato e sostenuto un modello politico ed economico di convivenza senza precedenti.