Questo sito utilizza cookies tecnici e cookies di terze parti per la gestione delle statistiche. Leggi l'informativa per sapere di più; proseguendo nella navigazione accetti l'uso dei cookies.

Saggi e Articoli

Inail. Il Rapporto Annuale 2011 sugli infortuni sul lavoro e le malattie professionali

Sommario: 1. Dati statistici e spunti di riflessione. – 2. L’implementazione del quadro normativo. – 3. Salute e sicurezza e mercato del lavoro.

 
 
 
 

1. Dal Rapporto annuale Inail per il 2011 sugli infortuni sul lavoro e le malattie professionali si conferma l’andamento decrescente degli infortuni sul lavoro in atto nel nostro Paese negli ultimi anni; viceversa crescono le denunce di malattie professionali.

Nel 2011 sono stati denunciati circa 725.000 infortuni, con una riduzione del 6,6% rispetto al 2010.

Per il 2011 sono stimati 920 casi di infortunio mortale, con una diminuzione del 5,4% rispetto al dato definitivo del 2010 (973 casi), ben al di sotto dunque della “soglia psicologica” delle 1.000 unità.

E’ peraltro da considerare che il numero di infortuni in “ambiente di lavoro” ordinario rimane sostanzialmente stabile rispetto al 2010, mentre calano in maniera significativa gli infortuni occorsi ai lavoratori che operano sulla strada (autotrasportatori merci e persone, rappresentanti di commercio, addetti alla manutenzione stradale, ecc…), che segnano nel 2011 una flessione dell’8,4% (da 54.601 a 50.028 casi denunciati; da 292 a 230 casi mortali). Viceversa gli infortuni mortali in itinere (nel tragitto casa/lavoro) hanno conosciuto un sensibile aumento in termini percentuali (+ 4,8%) corrispondente a 11 morti in più rispetto al 2010.

Il calo infortunistico nel complesso ha interessato sia i lavoratori (-7%) che le lavoratrici (-5,6%); ciò non vale tuttavia per gli infortuni mortali, registrando le lavoratrici un sensibile aumento dei decessi (passando dai 78 casi del 2010 ai 90 del 2011), prevalentemente dovuto ai casi di infortunio in itinere, che rappresentano più della metà dei decessi femminili.

Relativamente all’età degli infortunati la fascia di età 35-49 anni risulta la più colpita in valori assoluti. Di rilievo è peraltro la crescita dei casi mortali per la classe di età 50-64 anni (in cui si passa da 269 unità nel 2010 a 287 unità nel 2011).

Per i lavoratori stranieri la diminuzione degli infortuni nel 2011 rispetto all’anno precedente è stata del 3,1%, con una lieve flessione degli infortuni mortali (138 casi contro 141).

Per ripartizione geografica il calo registrato a livello nazionale ha interessato tutte le aree del Paese, ed in maniera crescente il Mezzogiorno (- 8,1% infortuni in complesso; - 14,9% casi mortali, che passano dai 323 del 2010 ai 275 del 2011).

Per quanto riguarda la ripartizione per settori di attività economica si registra nel 2011 una diminuzione sensibile degli infortuni mortali nel settore dei Servizi (-9,4%) e nell’Industria (-3,7%) mentre per l’Agricoltura si segnala un aumento del 2,7%. Da un esame più analitico si rileva che una riduzione significativa si è verificata nei Trasporti (-30,7%), nei Servizi alle imprese e attività immobiliari (-26,2%) (al contrario nel Commercio si registra un aumento degli infortuni mortali, da 83 nel 2010 a 90 nel 2011), nelle Costruzioni (-10,6%); in aumento sono invece i casi mortali nella Meccanica e nella Metallurgia.

Da segnalare infine il dato relativo all’aumento degli infortuni mortali del personale addetto ai Servizi domestici e familiari (da 4 nel 2010 a 7 nel 2011), pur in un contesto di diminuzione del numero complessivo degli infortuni.

Come accennato, nel 2011 aumentano ancora le denunce di malattie professionali: 46.558 casi, con un incremento di quasi il 10% rispetto al 2010 e del 60% rispetto all’inizio dell’ultimo quinquennio. In tale contesto particolarmente significativo è l’incremento in Agricoltura (+25% sul 2010), con un numero di denunce quasi quintuplicato rispetto al 2007. In crescita anche il tasso di riconoscimento (rapporto tra casi riconosciuti e casi denunciati) ed il tasso di indennizzo (casi indennizzati su casi riconosciuti).

Tale dato è dovuto prevalentemente ad una più intensa attività di informazione, formazione e prevenzione da parte dei diversi soggetti interessati, facendo emergere le c.d. “malattie perdute”, e, d’altro lato, agli aggiornamenti apportati sul piano normativo. Il riferimento è in particolare al d.m. 9 aprile 2008, relativo alle nuove tabelle delle malattie professionali, con il quale sono state inserite tra le malattie  professionali tabellate quelle “causate da vibrazioni meccaniche trasmesse al sistema mano-braccio”, “da sovraccarico biomeccanico dell’arto superiore e del ginocchio” e le “ernie discali lombari”, ampliandosi peraltro le lavorazioni che espongono i lavoratori a rischio di ipoacusia. Effetto collaterale è poi quello delle denunce plurime, cioè le denunce di più malattie insistenti su un unico lavoratore, e connesse alla sua mansione, con un effetto moltiplicatore sul numero complessivo di denunce.

Le malattie osteo-articolari e muscolo-tendinee, dovute prevalentemente a sovraccarico bio-meccanico e a movimenti ripetuti, con quasi 31.000 denunce nel 2011 rappresentano la patologia più frequente (passando dal 40% del 2007 al 66% del totale delle denunce nel 2011).

I tumori professionali risultano essere la prima causa di morte per malattia tra i lavoratori; per le caratteristiche intrinseche di tali patologie (difficoltà di riscontro del nesso causale, molte volte di natura multifattoriale; ridotta consapevolezza della possibile natura professionale; lungo periodo di latenza di alcune neoplasie) le cifre rilevate da Inail sono peraltro da considerarsi sottostimate. I tumori denunciati superano, nel complesso, i 2.000 casi l’anno.

Fino a qui i dati statistici.

Alcune considerazioni. La presentazione del Rapporto annuale Inail costituisce un’occasione importante per riflettere sul fenomeno infortunistico e delle malattie professionali nel nostro Paese, al fine di individuare le ulteriori misure da intraprendere. E’ tuttavia da domandarsi se tale puntuale resoconto informativo rappresenti la situazione reale in materia, alla luce in particolare della persistente crisi economica ed occupazionale. Al riguardo la stessa relazione del Presidente, molto correttamente, precisa che “i numeri assoluti degli infortuni e i loro andamenti storici non sono, da soli, informazione adeguata per dare indicazioni alle politiche della sicurezza. Dovrebbero essere analizzati raggruppandoli per “classe di rischio” e rapportati a un indicatore del “periodo di esposizione al rischio”, rilevato per classe. Un’analisi adeguata dovrebbe considerare il periodo di esposizione al rischio misurato dalle “ore lavorate”, come d’altra parte definito dalla norma UNI (la 7249, sulle “statistiche degli infortuni sul lavoro”). Il dato non è disponibile; l’Inail progetterà azioni per poter calcolare questi indicatori effettivamente “risk adjusted””(INAIL, Rapporto Annuale 2011. Relazione del Presidente,  Roma, luglio 2012, 3).

E’ da sottolineare peraltro che nel corso del 2011 (e probabilmente ancora per qualche anno) vi è stato un ampio ricorso alla cassa integrazione e ad altre forme di ammortizzatori sociali, tutele che, pur agendo in costanza di rapporto di lavoro, hanno di fatto contribuito alla riduzione dell’esposizione al rischio in termini di durata o di presenza fisica sul luogo di lavoro, con riflessi sulla riduzione della incidentalità.

Nei dati forniti dall’Inail non rientrano inoltre gli infortuni occorsi ai c.d. lavoratori “in nero”. Le stime diffuse dall’Inail per il 2010 hanno quantificato in quasi 3 milioni le unità di lavoro “in nero”, a cui corrispondono circa 164.000 infortuni “invisibili”, rientranti per lo più in un range di gravità medio-lieve.

D’altro lato limiti si riscontrano in merito all’operatività del sistema ispettivo. Il numero delle aziende controllate dall’Inail nel 2011, al fine del rispetto del rapporto assicurativo, è stato di 21.201 unità (il 63% aziende del terziario; il 32% del settore industriale); un numero di scarsa rilevanza se confrontato con il bacino complessivo delle aziende italiane. Ben 18.145 casi (pari all’85,59% del totale) sono peraltro risultati irregolari (quale la percentuale corrispondente di violazione degli obblighi di prevenzione ?).

Da ultimo alcuni dati da meglio interpretare. Si rileva, come detto, che da un lato cala il numero degli infortuni mortali dei lavoratori che operano “in strada”, dall’altro aumenta considerevolmente il numero degli infortuni mortali in itinere. Tale apparente contraddizione è spiegabile con i rigorosi limiti di orario alla guida da rispettare da parte degli autotrasportatori oppure con le condizioni di maggior stress in cui tutti noi viviamo?. Confrontando inoltre i dati Istat sull’occupazione femminile con il numero degli infortuni sul lavoro “si deduce che il lavoro femminile è sicuramente meno rischioso; le donne sono, infatti, occupate prevalentemente nei servizi e in settori a bassa pericolosità e, se impegnate in comparti più rischiosi come quello delle Costruzioni, dei Trasporti e dell’Industria pesante, svolgono comunque mansioni di tipo impiegatizio o dirigenziale” (INAIL, Rapporto Annuale 2011. Parte quarta/statistiche Infortuni e malattie professionali, Roma, luglio 2012, 4). Occorrerebbe tuttavia considerare anche i dati statistici relativi alle malattie professionali, nel rapporto non disponibili, da cui probabilmente risulterebbe un coinvolgimento considerevole della componente femminile.

 

2. Il riordino delle regole in materia di salute e sicurezza sul lavoro realizzatosi con il d.lgs. n. 81/2008, come modificato in particolare dal d.lgs. n. 106/2009, pur se non ancora del tutto concluso, ha contribuito alla riduzione del fenomeno infortunistico, insieme ad una più diffusa consapevolezza delle tematiche in questione. Tale complessa opera di riforma è stata possibile grazie al fattivo contributo di soggetti istituzionali – Ministeri del lavoro e della salute e Regioni – e Parti sociali. E’ auspicabile che l’impegno comune, con un equilibrato apporto di ciascuno, venga mantenuto anche per il futuro.

Significativi provvedimenti attuativi del d.lgs. n. 81/2008 e s. m. i. sono stati emanati negli ultimi mesi. Si segnalano in particolare: il d.p.r. 14 settembre 2011, n. 177, che introduce misure di maggior tutela della salute e sicurezza dei lavoratori operanti in “ambienti confinati” (quali silos, cisterne, pozzi e simili), prevedendosi che in tali contesti possano operare unicamente imprese e lavoratori in possesso di competenze professionali, formazione ed addestramento adeguati al rischio delle attività da realizzare, e gli Accordi sottoscritti in sede di Conferenza Stato-Regioni il 21 dicembre 2011 (in vigore dal 26 gennaio 2012), in materia di formazione per la salute e sicurezza sul lavoro (nello specifico l’Accordo per la formazione dei lavoratori, che contiene previsioni anche per preposti e dirigenti, e l’Accordo per lo svolgimento diretto da parte del datore di lavoro dei compiti di prevenzione e protezione dai rischi, previsti rispettivamente dall’art. 37, comma 2 e dall’art. 34, commi 2  e 3, del d.lgs. n. 81/2008 e s. m. i. , che vengono potenzialmente ad interessare circa 22 milioni di soggetti ed oltre 5 milioni di imprese.

Con decreto direttoriale del 28 settembre 2011 è stata inoltre istituita la Commissione per gli Interpelli, prevista dall’art. 12, comma 2, del d.lgs. n. 81/2008, composta in modo paritetico da rappresentanti dei Ministeri e delle Regioni, le cui indicazioni fornite nelle risposte ai quesiti costituiscono criteri interpretativi e direttivi per l’esercizio delle attività di vigilanza. E’ da richiamare anche l’intensa attività della Commissione consultiva permanente presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Sul piano contrattuale di rilievo è in particolare l’Accordo applicativo del d.lgs. n. 81/2008 per il settore artigiano, del 28 giugno 2011, definitivamente sottoscritto dalle Parti sociali il 13 settembre 2011, che valorizza, tra l’altro, il ruolo degli organismi paritetici e del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale (rlst).

Con legge 12 luglio 2012, n. 101, di conversione, con modificazioni, del d.l. 12 maggio 2012, n. 57, si è invece rinviato (dal 30 giugno 2012) al 31 dicembre 2012, tra l’altro, il termine ultimo entro il quale i datori di lavoro che occupano fino a dieci lavoratori, in attesa del decreto interministeriale sulle procedure standardizzate per la valutazione dei rischi nelle piccole imprese, di cui all’art. 6, comma 8, lett. f), d.lgs. n. 81/2008, potranno “autocertificare” l’effettuazione della valutazione dei rischi (art. 29, comma 5, d.lgs. n. 81/2008).

In relazione ai provvedimenti attuativi del d.lgs. n. 81/2008 ancora da perfezionare, accanto alle norme dirette ad individuare le particolari esigenze di determinati settori ed attività (si veda al riguardo il rinvio operato dalla stessa legge n. 101/2012), di particolare significato è la mancata emanazione del decreto per la realizzazione ed il funzionamento del Sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro (SINP), alla cui applicazione conseguirà, tra l’altro, l’abolizione dell’obbligo di tenuta del registro infortuni (artt. 8 e 53, comma 6, d.lgs. n. 81/2008).

 

3. Pare utile evidenziare i punti di possibile impatto della complessa disciplina di riforma del mercato del lavoro, contenuta nel legge n. 92, del 28 giugno 2012 (in vigore dal 18 luglio scorso) sulle questioni inerenti la salute e sicurezza del lavoro, elemento finora alquanto trascurato.

Due in particolare gli aspetti da sottolineare: il rapporto tra salute e sicurezza e la disciplina della c. d. “flessibilità in entrata” (modifica delle diverse tipologie contrattuali); le particolari condizioni dei c. d. “lavoratori anziani”.

Sul primo punto è da evidenziare come negli ultimi anni gli interventi in materia di salute e sicurezza sul lavoro si siano fortemente intrecciati con quelli per la lotta al lavoro nero e sommerso. Si è cercato di coniugare la flessibilità con la sicurezza, termine che richiama il concetto di legalità, da intendere non solo come applicazione rigorosa di norme ma soprattutto come rispetto per la persona, operandosi una sorta di “presunzione” da parte dell’ordinamento giuridico tra lavoro irregolare e scarsa sicurezza sul lavoro. Al riguardo, oltre alle disposizioni specifiche per il contrasto del lavoro irregolare e per la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori (art. 14, d.lgs. n. 81/2008), dispone in special modo la previsione che obbliga a considerare nella valutazione dei rischi, anche i rischi “connessi con la specifica tipologia contrattuale” utilizzata (insieme a quelli connessi alla differenza di genere, all’età ed alla provenienza da altri Paesi; art. 28, comma 1, d.lgs. n. 81/2008), in ragione della scarsa conoscenza dell’ambiente in cui si va ad operare.

Se una delle finalità della riforma del mercato del lavoro è il contrasto alle c.d. “flessibilità malate” (false partite IVA, lavoro a progetto, ecc…), ripristinando le finalità originarie di ciascuna fattispecie contrattuale, pare opportuno perseguire tale obiettivo anche tramite specifiche “azioni positive” in materia di salute e sicurezza.

Se d’altro lato si considera l’apprendistato quale “canale privilegiato” per l’impiego dei giovani (portando a compimento la disciplina posta dal d.lgs. n. 167/2011, c.d. Testo unico dell’apprendistato), si pone il problema della qualità della formazione erogata in apprendistato, a partire dall’affidabilità del soggetto formatore e dalla certificazione della formazione ricevuta.

Altro punto di attenzione è quello relativo alle condizioni dei lavoratori “anziani”. L’innalzamento dei requisiti necessari per raggiungere il pensionamento, operato dalla legge n. 214/2011, comporta infatti un ripensamento non solo nella direzione della continuità dell’impiego e del sostegno al reddito ma anche delle condizioni di salute, sia sul piano fisico che mentale, e di sicurezza dei lavoratori ultra 60/65 anni. Questione che verrà ad interessare anche il rapporto assicurativo e che potrebbe essere affrontata attraverso soluzioni contrattuali, fiscalmente incentivate, di pensionamento flessibile (con part-time o riduzioni di orario), collegate eventualmente all’inserimento di giovani al lavoro (il c.d. “patto infragenerazionale”).

Si è osservato peraltro come tratto distintivo della disciplina posta dal d.lgs. n. 81/2008 e s. m. i. sia il necessario coordinamento tra i diversi soggetti operanti in materia ed il consolidarsi di una cultura della prevenzione attraverso un approccio di sistema basato sul principio del “tripartitismo”, in una prospettiva di integrazione dei ruoli e di confronto tra soggetti istituzionali e organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori.

A livello territoriale tale principio si dovrebbe esprimere principalmente nei Comitati regionali di Coordinamento delle attività di prevenzione e di vigilanza, di cui all’art. 7, d.lgs. n. 81/2008.

In base all’esperienza tuttavia tali organismi, anche se oramai istituiti in tutte le Regioni, mostrano difficoltà di funzionamento e differenze, dovute spesso alle diverse soluzioni organizzative adottate a livello regionale. Al riguardo l’Inail, accanto a misure incentivanti specie per le piccole e medie imprese, in attesa della operatività del SINP, si dichiara già in grado, attraverso la propria banca dati, di rispondere alle prime esigenze informative, in merito al quadro produttivo ed occupazionale, al quadro dei rischi (anche in un’ottica di genere), all’andamento degli infortuni e delle malattie professionali, attraverso tavole dei dati territoriali e di sintesi (INAIL, Rapporto Annuale 2011. Relazione del Presidente,  Roma, luglio 2012, 8), ivi compreso l’elenco completo dei nominativi dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (RLS); elenco che, nell’ottica partecipativa sopra richiamata, potrebbe essere utilmente messo a disposizione delle Parti sociali.

 

Stampa