Questo sito utilizza cookies tecnici e cookies di terze parti per la gestione delle statistiche. Leggi l'informativa per sapere di più; proseguendo nella navigazione accetti l'uso dei cookies.

  • Home
  • Approfondimenti
  • Saggi e Articoli
  • I PROTOCOLLI CONDIVISI TRA GOVERNO E PARTI SOCIALI PER IL CONTRASTO ED IL CONTENIMENTO DELLA DIFFUSIONE DEL VIRUS COVID-19 NEGLI AMBIENTI DI LAVORO: PORTATA ED EFFETTIVITA’

Saggi e Articoli

I PROTOCOLLI CONDIVISI TRA GOVERNO E PARTI SOCIALI PER IL CONTRASTO ED IL CONTENIMENTO DELLA DIFFUSIONE DEL VIRUS COVID-19 NEGLI AMBIENTI DI LAVORO: PORTATA ED EFFETTIVITA’

(in via di pubblicazione su: RIVISTA DEGLI INFORTUNI E DELLE MALATTIE PROFESSIONALI)

 

SOMMARIO

  1. Elementi generali. – 2. Rischio da Covid-19 e aggiornamento/integrazione della valutazione dei rischi. – 3. Il valore giuridico dei Protocolli anticontagio. – 4. La responsabilità del datore di lavoro per contagio da coronavirus. – 5. Violazione dei Protocolli anticontagio e comportamento antisindacale.

 

 

  1. Elementi generali

 

Il contributo che le parti sociali hanno fornito per il contrasto ed il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro si è espresso, come noto, nella sottoscrizione di “Protocolli condivisi”, a partire da quello siglato il 14 marzo 2020, come integrato dal Protocollo del 24 aprile 2020, a cui hanno fatto seguito intese di settore nonché accordi di carattere territoriale e aziendale 1.

E’ da sottolineare che il Protocollo del 14 marzo 2020, che ha innanzitutto il merito di essere un testo condiviso tra Cgil-Cisl-Uil e associazioni datoriali (Confindustria, Confapi, Rete Imprese Italia, Alleanza Cooperative, Confservizi), è stato siglato su invito ed alla presenza del Governo, che ne ha favorito, per quanto di sua competenza, la piena attuazione.

Obiettivo del Protocollo che, tenuto conto di quanto emanato dal Ministero della Salute, dà seguito alle raccomandazioni contenute nell’art.1, comma 1, nn. 7 e 8, del DPCM 11 marzo 2020, là dove, al n. 9, si riferisce ad intese tra organizzazioni datoriali e sindacali, è quello di “fornire indicazioni operative finalizzate ad incrementare, negli ambienti di lavoro non sanitari, l’efficacia delle misure precauzionali di contenimento adottate per contrastare l’epidemia di Covid-19 ” 2.

Precisato che il Covid-19 rappresenta un rischio biologico generico, per il quale valgono misure uguali per tutta la popolazione, il Protocollo detta misure precauzionali per gli ambienti di lavoro, da recepire nelle singole realtà aziendali. Nonostante gli inviti a favorire forme di lavoro a distanza, quali il telelavoro e lo smart working, tali modalità non sono infatti praticabili per quelle attività che richiedano una necessaria presenza fisica sui luoghi di lavoro.

E’ da evidenziare che oltre che per gli aderenti alle parti firmatarie, le misure precauzionali contenute nel Protocollo sono venute a rappresentare un utile riferimento per tutte le realtà lavorative che hanno continuato ad operare pur in una situazione di estrema emergenza.

Punto centrale del Protocollo, secondo quanto affermato in premessa, è che “la prosecuzione delle attività produttive può…avvenire solo in presenza di condizioni che assicurino alle persone che lavorano adeguati livelli di protezione”. Rafforzando tale previsione il Protocollo integrativo del 24 aprile 2020 specifica che “la mancata attuazione del Protocollo che non assicuri adeguati livelli di protezione determina la sospensione dell’attività fino al ripristino delle condizioni di sicurezza”.

Da evidenziare il profilo partecipativo, con il coinvolgimento delle rappresentanze sindacali e dei RLS-RLST, come emerge sia in premessa all’elenco delle misure cautelari sia nella parte finale, là dove si prevede la costituzione di un comitato congiunto, azienda/rappresentanze sindacali aziendali-RLS, per la verifica della disciplina posta in applicazione del Protocollo.

Riassumendo le misure cautelari contenute nel Protocollo, queste si occupano di: informazione; modalità di ingresso in azienda; modalità di accesso dei fornitori esterni; pulizia e sanificazione in azienda; precauzioni igieniche personali; dispositivi di protezione individuale; gestione di spazi comuni (mensa, spogliatoi, aree fumatori, distributori di bevande e/o snack..); organizzazione aziendale (turnazione, trasferte e smart work, rimodulazione dei livelli produttivi); gestione entrata e uscita dei dipendenti; spostamenti interni, riunioni, eventi interni e formazione; gestione di una persona sintomatica in azienda; sorveglianza sanitaria/medico competente/RLS, aggiornamento del Protocollo di regolamentazione.

Tra esse merita segnalare:

*la possibilità di sottoporre il personale al controllo della temperatura corporea, prima dell’accesso al luogo di lavoro, con conseguente divieto qualora la temperatura sia superiore ai 37, 5°. Si precisa peraltro che la rilevazione in tempo reale della temperatura corporea costituisce un trattamento di dati personali e pertanto deve avvenire nel rispetto della disciplina sulla privacy;

*l’individuazione di specifiche procedure di ingresso, transito ed uscita per i fornitori esterni, prevedendo che gli autisti dei mezzi di trasporto, se possibile, rimangano a bordo dei propri mezzi, e comunque attenersi per le necessarie attività di carico e scarico alla rigorosa distanza di un metro; per i fornitori, trasportatori o altro personale esterno sono inoltre da individuare o da installare servizi igienici dedicati, stabilendosi il divieto di utilizzo di quelli del personale dipendente;

*l’adozione delle misure di igiene e dei dispositivi di protezione individuale nonché l’impegno da parte delle aziende di assicurare la pulizia giornaliera e la sanificazione periodica dei locali, degli ambienti, delle postazioni di lavoro e delle aree comuni di svago, rinviando nel caso di presenza di contagio alle disposizioni della circolare n. 5443 del 22 febbraio 2020 del Ministero della Salute. A tal fine si può anche sospendere l’attività lavorativa facendo ricorso agli ammortizzatori sociali, anche in deroga;

*interventi di modifica temporanea dell’organizzazione del lavoro. Le imprese, nel rispetto di quanto disposto dai CCNL, e d’intesa con le rappresentanze sindacali aziendali, possono infatti: disporre la chiusura di tutti i reparti diversi dalla produzione o comunque di quelli dei quali è possibile il funzionamento mediante il ricorso al lavoro a distanza; procedere ad una rimodulazione dei livelli produttivi; assicurare un piano di turnazione dei dipendenti dedicati alla produzione al fine di diminuire al massimo i contatti. Peraltro qualora vengano utilizzati ammortizzatori sociali, anche in deroga, questi dovranno riguardare l’intera compagine aziendale, anche con opportune turnazioni, al fine di evitare disparità di trattamento; l’utilizzo in via prioritaria degli istituti contrattuali (permessi annuali retribuiti, riduzioni di orario di lavoro, banca ore), finalizzati a consentire l’astensione dal lavoro senza perdita di retribuzione e, solo qualora ciò non sia sufficiente, il ricorso ai periodi di ferie arretrati e non ancora fruiti;

*l’indicazione che la sorveglianza sanitaria “deve proseguire rispettando le misure igieniche contenute nelle indicazioni del Ministero della Salute”, con la successiva precisazione che “la sorveglianza sanitaria periodica non va interrotta, perché rappresenta una ulteriore misura di prevenzione di carattere generale: sia perché può intercettare possibili casi e sintomi sospetti del contagio, sia per l’informazione e la formazione che il medico competente può fornire ai lavoratori per evitare la diffusione del contagio”.

Indicazione che contraddice gli indirizzi emanati da alcune Regioni, non contrarie a un differimento delle visite periodiche, tenuto conto della necessità di concentrarsi sull’emergenza coronavirus 3.

Il Protocollo integrativo del 24 aprile rafforza ulteriormente tali misure, prevedendo, tra l’altro:

*l’esplicita estensione delle misure cautelari per il personale delle aziende che operano in appalto, attribuendo al committente funzioni di informazione e vigilanza;

*l’utilizzo dei DPI per tutti i lavoratori che condividono spazi comuni;

*la sanificazione straordinaria degli ambienti di lavoro alla riapertura nelle situazioni più a rischio;

*la segnalazione alla azienda, da parte del medico competente, di situazioni di particolari fragilità e patologie, attuali o pregresse dei dipendenti, nel rispetto della privacy;

*l’obbligo della certificazione medica di “avvenuta negativizzazione” per il rientro delle persone risultate positive;

*l’istituzione, oltre ai comitati aziendali, di appositi comitati territoriali per consentire l’applicazione del Protocollo anche nelle PMI, dove di norma non è presente un rappresentante sindacale.

Nel complesso si aumenta il livello di sicurezza negli ambienti di lavoro avviando una fase impegnativa volta all’attuazione dei contenuti dei Protocolli in ogni contesto lavorativo.

 

 

 

  1. Rischio da Covid-19 e aggiornamento/integrazione della valutazione dei rischi.

 

 

Venendo a brevi spunti interpretativi su questioni controverse, non del tutto convincente pare la distinzione, accolta in un primo momento negli indirizzi operativi emanati da alcune Regioni 4, tra obblighi prevenzionistici, di cui al d.lgs. n. 81/2008 e s.m.i. e obbligo di attuazione delle misure anticontagio dettate dalla pubblica autorità. Per cui, secondo tale interpretazione, non si dovrebbe procedere, per i settori non sanitari, ad un’integrazione/aggiornamento del DVR (documento di valutazione dei rischi) in presenza di coronavirus.

Sul punto è da sottolineare che l’art. 28, comma 2, lett. a ), del d.lgs. n. 81/2008 (norma sanzionata a carico del datore di lavoro) stabilisce che il DVR deve contenere “una relazione sulla valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante l’attività lavorativa..”, e non necessariamente causati dall’attività lavorativa. Non pare dunque del tutto corretto isolare il tema della sicurezza anti-virus dal contesto generale del d.lgs. n. 81/2008.

Del resto le interazioni tra i due nuclei prevenzionistici sono evidenti. Si pensi ad esempio alle misure generali di tutela (art. 15), là dove si prevede “l’eliminazione dei rischi e, ove ciò non sia possibile, la loro riduzione al minimo in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico” (comma 1, lett. c ) o “la limitazione al minimo del numero dei lavoratori che sono, o che possono essere, esposti al rischio” (comma 1, lett. g ); all’obbligo a carico del datore di lavoro e dei dirigenti di “adottare le misure per il controllo delle situazioni di rischio in caso di emergenza e dare istruzioni affinchè i lavoratori, in caso di pericolo grave, immediato ed inevitabile, abbandonino il posto di lavoro o la zona pericolosa” (art. 18, comma 1, lett. h ); e soprattutto alle disposizioni in materia di gestione delle emergenze, con particolare riguardo al primo soccorso ed alla evacuazione dei lavoratori (artt. 43/45).

E’ da ritenere pertanto che, fermo restando per le realtà aziendali già esposte a rischio biologico (titolo X, d.lgs. n. 81/2008), a partire da quelle del settore socio-sanitario, l’obbligo di procedere ad una nuova valutazione dei rischi, dovendo il datore di lavoro elaborare specifiche procedure di prevenzione e protezione 5, anche in tutte le altre attività il DVR non potrà non tener conto delle misure anticontagio da adottare nel particolare contesto lavorativo.

In tal senso è orientato il Documento tecnico (Inail) sulla possibile rimodulazione delle misure di contenimento del contagio da SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro e strategie di prevenzione, del 23 aprile 2020.

Le indicazioni operative contenute nei Protocolli condivisi vengono a rappresentare, a nostro avviso, un utile riferimento per l’integrazione, se non per un vero proprio aggiornamento del DVR.

 

 

 

 

  1. Il valore giuridico dei Protocolli anticontagio

 

Si è dibattuto sul carattere vincolante o meno dei Protocolli anticontagio e sui conseguenti profili sanzionatori in caso di inosservanza.

Il carattere cogente dei Protocolli condivisi (a partire da quello del 14 marzo 2020, come integrato dal Protocollo del 24 aprile 2020, nonché degli altri protocolli di settore) deriva, è da ritenere, dal richiamo ad essi fatto dai vari provvedimenti anticontagio susseguitisi nel tempo, che ne hanno altresì affermato il rispetto quale condizione per la prosecuzione dell’attività produttiva (cfr. da ultimo, l’art. 2, comma 1, del d.p.c.m. 7 agosto 2020, che sostituisce le disposizioni contenute nel d.p.c.m 11 giugno 2020, di attuazione del d.l. 25 marzo 2020, n. 19 e del d.l. 16 maggio 2020 n. 33).

In tale ambito la violazione delle prescrizioni contenute nei Protocolli quali misure di contenimento del contagio darà luogo all’applicazione delle sanzioni amministrative, di cui all’art. 4, d.l. n. 19/2020, convertito, con modificazioni, nella legge n. 35/2020, salvo che il fatto non costituisca reato 6.

In molti casi, d’altro lato, come detto, le misure di prevenzione e organizzazione contenute nel Protocollo non fanno altro che specificare precetti già contemplati nel d.lgs. n. 81/2008 e s.m.i. (cd. Testo unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro). Si pensi agli obblighi in tema di informazione, di dotazione di dpi, di pulizia e sanificazione in azienda. In tali ipotesi, in caso di violazione, non potrà che trovare applicazione la corrispondente disciplina sanzionatoria, anche di carattere penale, posta dal d.lgs. n. 81/2008, ivi compresa la procedura di cui agli articoli 20 e seguenti del d.lgs. n. 758/1994, volta alla regolarizzazione delle condotte antigiuridiche.

Sul punto è inoltre da osservare che i Protocolli, per loro espressa menzione, contengono misure che, in una logica di precauzione, “seguono e attuano le prescrizioni del legislatore e le indicazioni dell’Autorità sanitaria” (cfr. Premessa). Ciò significa che nell’applicazione ed interpretazione delle misure contenute nei Protocolli non ci si potrà discostare dalla disciplina posta dal legislatore, stante anche la loro minore valenza normativa.

 

 

 

  1. La responsabilità del datore di lavoro per contagio da coronavirus

 

L’art. 42, comma 2, del d.l. n. 18/2020 (cd. “cura Italia”), convertito con legge n. 27/2020 ha riconosciuto, secondo consolidata giurisprudenza che equipara la “causa virulenta” alla “causa violenta”, il contagio da coronavirus in occasione di lavoro, anche in itinere, come infortunio sul lavoro e non come malattia professionale (per la quale occorre un nesso causale con il lavoro). Peraltro nei casi accertati di infezioni da coronavirus in occasione di lavoro le prestazioni Inail sono erogate anche per il periodo di quarantena o di permanenza domiciliare fiduciaria dell’infortunato con la conseguente astensione dal lavoro. D’altro lato nessun onere aggiuntivo è stato posto a carico delle imprese, in termini di aumento dei premi assicurativi 7.

La previsione, come noto, ha dato luogo ad accese polemiche, comportando secondo alcuni una nuova forma di responsabilità del datore di lavoro nel caso di contagio in occasione di lavoro da parte di lavoratori o di terzi, invocandosi a più riprese una sorta di “scudo penale” al riguardo 8.

A ben vedere tuttavia la norma ha una portata limitata alla tutela indennitaria in ambito assicurativo e non interviene ai fini della individuazione delle responsabilità civili e penali, rispetto alle quali occorrerà comunque accertare quanto meno la sussistenza di una colpa del datore di lavoro (o di altri soggetti aziendali) nella realizzazione dell’evento.

Al riguardo si esprime puntualmente la circolare Inail n. 22, del 20 maggio 2020, secondo la quale “non possono, perciò, confondersi i presupposti per l’erogazione di un indennizzo Inail (basti pensare a un infortunio in “occasione di lavoro” che è indennizzato anche se avvenuto per caso fortuito o per colpa esclusiva del lavoratore) con i presupposti per la responsabilità penale e civile che devono essere rigorosamente accertati con criteri diversi da quelli previsti per il riconoscimento del diritto alle prestazioni assicurative. In questi, infatti, oltre alla già citata rigorosa prova del nesso di causalità, occorre anche quella dell’imputabilità quantomeno a titolo di colpa della condotta tenuta dal datore di lavoro” 9.

Ciò ha conseguenze anche sull’azione di regresso, l’attivazione della quale “presuppone, inoltre, anche l’imputabilità a titolo, quantomeno, di colpa, della condotta causativa del danno” 10.

In tale dibattito è intervenuto, da ultimo, l’art. 29-bis, della legge 5 giugno 2020, n. 40, di conversione del d.l. n. 23/2020 (cd. “decreto liquidità”), il quale prevede che ai fini della tutela contro il rischio di contagio da Covid-19, l’applicazione delle prescrizioni contenute nel Protocollo condiviso del 24 aprile 2020 e negli altri protocolli e linee guida (di cui all’art. 1, comma 14, d.l. 16 maggio 2020, n. 33) costituisca adempimento dell’obbligo di sicurezza di cui all’art. 2087 del codice civile.

Le misure contemplate dei Protocolli vengono dunque ad integrare la portata “aperta” dell’obbligo di sicurezza di cui all’art. 2087, cod. civ., improntata, come noto, sui criteri della particolarità del lavoro, dell’esperienza e della tecnica. Per cui se il datore di lavoro (anche non aderente alle associazioni datoriali firmatarie) non dimostra di aver adottato misure proprie equivalenti a quelle indicate, tra l’altro, nei Protocolli, contravviene al suo generale obbligo di sicurezza derivante dall’art. 2087 del cod. civ. .

La norma è stata salutata con favore nell’ottica di una delimitazione delle responsabilità datoriali. A ben vedere tuttavia la formulazione utilizzata lascia ampi margini di ambiguità, dal momento che il rinvio agli “altri protocolli e linee guida”, anche di livello regionale, rende non agevole l’individuazione della disciplina applicabile, che peraltro dovrebbe essere uniforme su tutto il territorio nazionale.

La norma codicistica, pur avendo un indiretto e significativo rilievo sulla condotta colposa, non è del resto tale da esaurire tutti i profili di responsabilità per colpa derivanti dall’art. 43 del codice penale, non comportando un totale ed automatico esonero (come pure si è prospettato) della responsabilità del datore di lavoro nei casi accertati di infezione da Covid-19, avvenuti in occasione di lavoro.

L’art. 29-bis afferma infatti che il rispetto dei Protocolli costituisce solo adempimento dell’obbligo di cui all’art. 2087 cod. civ., ma non più ampiamente l’esclusione “da ogni responsabilità”, come nel testo originariamente proposto nel corso dei lavori parlamentari nonché in sede di conversione in legge della norma in questione 11.

 

 

 

  1. Violazione dei Protocolli anticontagio e comportamento antisindacale

 

Il mancato riconoscimento del ruolo delle rappresentanze dei lavoratori nell’attuazione dei Protocolli può dar luogo a comportamento antisindacale.

Al riguardo la decisione del Tribunale di Treviso, del 2 luglio 2020, rappresenta una tra le prime sentenze in materia di comportamento antisindacale, ex art. 28, Statuto dei lavoratori, per violazione dei Protocolli condivisi di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro.

Il caso specifico ha riguardato un’importante S.P.A., subentrata nell’appalto dei servizi di pulizia, sanificazione e smaltimento dei rifiuti di un ospedale, che non si riteneva vincolata dall’accordo sindacale intercorso con la precedente affidataria del servizio (che riconosceva i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza in ogni “cantiere di lavoro”), considerando sufficiente ai fini delle misure anti Covid-19 previste dal Protocollo condiviso del 14 marzo 2020, di cui peraltro negava il carattere cogente, la costituzione di un unico comitato a livello centrale (pur articolato in cinque sottocomitati per macro-aree territoriali).

Il tribunale ha innanzitutto accertato che la società risultava mera affidataria del servizio di pulizia, non essendo nel frattempo mutati gli obblighi a carico del concessionario; pertanto veniva meno la sua pretesa di essere svincolata dalla disciplina concordata per il servizio in questione nonché dal riconoscimento dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza già individuati dagli accordi precedenti.

Punto centrale della decisione è peraltro l’affermazione della necessaria costituzione del comitato per l’applicazione e la verifica delle regole del Protocollo, di cui al punto 13, “a livello delle specifiche e singole realtà economico/produttive concretamente interessate dall’emergenza sanitaria”.

Si è infatti evidenziato che “la valorizzazione delle rappresentanti sindacali – e in particolare, delle RLS – è espressamente prevista al fine di adottare misure efficaci e l’efficacia è, secondo le parole usate nel Protocollo, sinonimo di specificità rispetto alla “singola realtà produttiva”. Ciò peraltro in coerenza con l’andamento della pandemia, che ha avuto una diffusione ed una intensità irregolare sul territorio italiano, necessitando pertanto di risposte differenziate.

La sentenza è di particolare rilievo perché mira ad una tutela sostanziale, prevedendo la costituzione dei comitati di cui al punto 13, del Protocollo, dei quali si ricorda fanno parte non solo i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza ma anche le rappresentanti sindacali, a seconda dei diversi contesti produttivi (aziendali e territoriali). Di conseguenza è antisindacale la condotta che escluda dal suddetto comitato la presenza di una determinata componente sindacale e/o rappresentanza per la sicurezza (nel caso specifico si è ritenuto che “ferma restando la compatibilità con le prescrizioni del Protocollo della costituzione del comitato nella sede specifica dell’ospedale…misura minima ma sufficiente ad eliminare la antisindacalità della condotta sia la partecipazione del RLS o RSA (del sindacato discriminato ns.)…..quale membro del sottocomitato dell’area Nord Est”).

 

 

 

 

 

RIASSUNTO

Il saggio mira a mettere in rilievo il contributo dei Protocolli condivisi tra le parti sociali e Governo ai fini del contrasto e del contenimento della diffusione del Covid-19 negli ambienti di lavoro. Dopo aver presentato i contenuti dei Protocolli l’autore ne esamina l’efficacia giuridica, alla luce delle responsabilità del datore di lavoro. Infine si richiama la prima giurisprudenza che ha qualificato comportamento antisindacale il mancato riconoscimento del ruolo delle rappresentanze dei lavoratori nell’attuazione dei Protocolli nei diversi contesti lavorativi.

 

 

SUMMARY

The essay aims to highlight the contribution of shared Protocols between the social partners and government in order to combat and contain the spread of Covid-19 in the workplace. After presenting the contents of the Protocols, the author examines its legal effectiveness, in light of the responsibilities of the employer. Finally the essay aims the first case law has qualified anti-union behaviour for the failure to recognise the role of workers' representatives in the implementation of the Protocols in different working contexts.

 

1*/Responsabile area giuslavoristica Centro Studi Cisl/Docente a contratto di Diritto del lavoro e della sicurezza presso l’Università di Firenze.

Per gli accordi in materia si rinvia in particolare ad Olympus, Osservatorio dell’Università degli Studi di Urbino, Covid-19 e sicurezza sul lavoro, voce Accordi.

2 Per la prevenzione e la sicurezza dei lavoratori della Sanità e dei Servizi Socio Sanitari e Socio Assistenziali in ordine all’emergenza Covid-19, si veda il Protocollo sottoscritto il 24 marzo 2020.

3 Cfr. Regione Veneto, COVID-19: indicazioni per la tutela della salute negli ambienti di lavoro non sanitari, 5 marzo 2020.

4 Cfr. Regione Veneto, COVID-19: indicazioni per la tutela della salute negli ambienti di lavoro non sanitari, 5 marzo 2020 ; Regione Marche, Nota informativa per le aziende del territorio marchigiano, nel periodo di epidemia da nuovo coronavirus, 10 marzo 2020. Per l’AUSL di Bologna, Prime indicazioni per le aziende ai fini dell’adozione di misure per il contenimento del contagio da SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro, 6 marzo 2020, il medico competente, quale collaboratore del datore di lavoro, deve provvedere alla “messa in atto delle misure igieniche universali all’interno dell’azienda e per l’aggiornamento del DVR, ove ciò si renda necessario”. Per la Regione Sicilia, Istruzione operativa per la regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro, del 19 marzo 2020, “i datori di lavoro aggiornano i documenti di valutazione dei rischi (DVR e DUVRI) secondo le disposizioni contenute nella presente Istruzione Operativa”.

5 Ivi compresa la revisione del protocollo sanitario ad opera del medico competente.

6 Cfr. al riguardo in particolare Procura Repubblica Trib. Bergamo, nota 12 maggio 2020, prot. N. 1104, Indicazioni operative per la verifica dell’applicazione dei protocolli condivisi di regolamentazione delle misure di contrasto e contenimento Covid-19 ex art. 2, c. 6, D.P.C.M 26 aprile 2020.

7 Cfr. al riguardo nota Inail, del 17 marzo 2020; circolari Inail n. 13, del 3 aprile 2020 e n. 22, del 20 maggio 2020:

8 Cfr., tra gli altri, il Comitato di esperti in materia economica e sociale, che nel Rapporto del giugno 2020 “Iniziative per il rilancio: Italia 2020-2022”, propone “la rimozione del contagio Covid-19 dalle responsabilità penali del datore di lavoro”.

9 Cfr., già, R. RIVERSO, Vero e falso sulla responsabilità datoriale da Covid-19. Aspetti civili, penali e previdenziali, in questionegiustizia.it.

10 Cfr. sempre circolare Inail 20 maggio 2020, n. 22.

11 Cfr. sul punto, R. GUARINIELLO, Contagi da coronavirus e responsabilità del datore di lavoro, in DPL, 2020, 1889 ss.

Stampa Email