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L’ACCORDO FIAT DI POMIGLIANO: LA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA TRA DECENTRAMENTO, RESPONSABILITA’ E PARTECIPAZIONE

SOMMARIO: 1. Il contesto economico-normativo. – 2. Le questioni maggiormente controverse: a) L’ultrattività del contratto collettivo. – 3. Segue: b) Il contrasto all’assenteismo anomalo. – 4. Segue: c) L’efficacia “orizzontale” e “verticale” del contratto collettivo. – 5. Segue: d) La clausola di responsabilità. – 6. Segue: e) Le clausole integrative del contratto individuale di lavoro. – 7. Spunti conclusivi.

 

 

 

1.      Il contesto economico-normativo

 

In merito all’accordo di Pomigliano, sottoscritto da Fiat e Fim-Uilm-Fismic il 15 giugno 2010, e successivamente ratificato dal 63% dei lavoratori, si è sviluppato un vivace dibattito che investe questioni destinate ad influire sul futuro delle relazioni industriali italiane.

Nell’ambito di una ristrutturazione su scala mondiale dell’industria dell’auto, il piano proposto da Fiat, denominato “Fabbrica Italia”, prevede un investimento di 20 miliardi di euro nel quadriennio, il raddoppio delle produzioni in Italia, una pesante riorganizzazione  interna con la chiusura dello stabilimento di Termini Imerese ed un impegno su Pomigliano di 700 milioni di euro, tramite il trasferimento delle produzioni della nuova Panda (in alternativa da realizzare in Polonia). In cambio Fiat pone una serie di condizioni: 18 turni di lavoro (dal lunedì al sabato compreso, tre turni giornalieri di 8 ore); flessibilità; nuova organizzazione del lavoro e nuova metrica (sistema di assegnazione e misurazione dei tempi ciclo e delle diverse fasi di lavoro); superamento delle anomalie presenti, specie in tema di assenteismo[1].

Si tratta dunque di un investimento significativo, in assoluta controtendenza rispetto al diffuso orientamento alla delocalizzazione e alla dismissione delle produzioni ed impianti dal nostro Paese, che è parso opportuno cogliere.

D’altro lato, pur considerando la particolare situazione che ha accompagnato le trattative, l’accordo può essere letto come esempio di responsabilità datoriale e sindacale [2]. Datoriale perché Fiat avrebbe ben potuto, per ragioni economiche, chiudere lo stabilimento di Pomigliano e trasferire la produzione all’estero; sindacale perché le organizzazioni sindacali firmatarie hanno accettato la gravosità dell’accordo nonché la deroga su più punti al contratto collettivo nazionale pur di salvaguardare la produzione, e di conseguenza l’occupazione. Sono state peraltro introdotte alcune limitate ma significative modifiche nel testo conclusivo, volte a rinviare a sedi bilaterali la soluzione delle questioni  maggiormente controverse (commissione paritetica in materia di assenteismo anomalo, punto 8; commissione paritetica di conciliazione per l’esame delle specifiche situazioni di mancato rispetto dell’accordo e delle relative conseguenze nei confronti delle organizzazioni sindacali, punto 16). Alquanto sottovalutata è stata del resto la parte economico-salariale dell’intesa che prevede a regime consistenti incrementi retributivi per i lavoratori.

Merita segnalare come l’accordo si ponga per larga parte nel solco delle intese precedenti. Richiamando brevemente il quadro contrattuale di riferimento, già l’accordo sulla riforma degli assetti contrattuali, del 22 gennaio 2009 (non firmato dalla Cgil) prevede una funzione regolatoria del contratto  nazionale circa le materie delegate alla contrattazione collettiva di secondo livello (punto 11)[3] nonché la possibilità di deroghe a singoli istituti economici o normativi dei contratti collettivi nazionali di categoria, per situazioni di crisi o per favorire lo sviluppo economico ed occupazionale (punto 16) [4]. Previsioni poi riprese e meglio specificate nell’ accordo Confindustria 15 aprile 2009 (anch’esso non firmato dalla Cgil) [5]. Per le deroghe si precisa in particolare che le intese, da raggiungere in sede territoriale, devono fondarsi su parametri oggettivi individuati nel contratto nazionale [6], con preventiva approvazione delle parti stipulanti (punto 5). Il Ccnl per l’industria metalmeccanica privata, del 15 ottobre 2009, sottoscritto da Federmeccanica e Fim e Uilm, del quale si discute circa la valenza sostitutiva o meramente integrativa  rispetto al Ccnl del 20 gennaio 2008, siglato anche dalla Fiom, [7] contiene infine una specifica regolamentazione per la contrattazione di secondo livello, affidando ad un’apposita commissione congiunta sia l’elaborazione di Linee guida per la definizione dei premi di risultato (entro giugno 2010) sia, soprattutto, la determinazione di una Disciplina integrativa per la contrattazione aziendale (entro dicembre 2010), relativa a contenuti, tempi e procedure nonché alla ripartizione delle materie tra primo e secondo livello contrattuale, oltre che norme in materia di conciliazione e arbitrato. A tale previsione si è data attuazione con l’accordo tra Federmeccanica Fim e Uilm, del 29 settembre 2010, sulle deroghe al contratto nazionale dei metalmeccanici. Il documento, recepito nel contratto sotto forma di articolo 4-bis, prevede che in presenza di nuovi investimenti volti a favorire lo sviluppo economico ed occupazionale ovvero al fine di contenere gli effetti derivanti da situazioni di crisi aziendale, sia possibile realizzare specifiche intese modificative, anche in via sperimentale o temporanea, di uno o più istituti disciplinati dal contratto nazionale. Le deroghe non potranno in ogni caso riguardare  “i minimi tabellari, gli aumenti periodici d’anzianità e l’elemento perequativo oltrechè i diritti individuali derivanti da norme inderogabili di legge”[8]. L’accordo viene dunque a fornire una copertura giuridica alle deroghe contrattuali previste per Pomigliano, in primo luogo sullo straordinario comandato, anche se assume una portata più ampia essendo applicabile a tutto il settore.

2.      Le questioni maggiormente controverse: a) L’ultrattività del contratto collettivo. Una prima problematica cui merita accennare è quella della c.d. ultrattività del contratto collettivo. Per orientamento consolidato agli attuali contratti collettivi di diritto comune non è applicabile l’art.2074 cod.civ. che sanciva il principio dell’ultrattività del contratto corporativo (del periodo fascista)[9]. Tuttavia clausole di ultrattività possono essere  disposte per via contrattuale, come espressamente nel contratto dei metalmeccanici del 20 gennaio 2008 (sezione terza, art.2). Proprio per ovviare a tale previsione Federmeccanica il 22 settembre 2010 ha manifestato la volontà unilaterale di recedere dal contratto 20 gennaio 2008; con il che la disciplina ivi contenuta non sarà più utilizzabile neanche in via transitoria e perderà i suoi effetti, con ricadute sulle rappresentanze sindacali non aderenti alle associazioni firmatarie, a partire dal 1 gennaio 2012.

3. Segue: b) Il contrasto all’assenteismo anomalo. Altra tematica sollevata è stata la pretesa violazione del diritto alla salute, costituzionalmente garantito, da parte delle misure rivolte a contrastare forme anomale di assenteismo. La clausola n.8 dell’accordo stabilisce al riguardo che  nel caso in cui la percentuale di assenteismo sia “significativamente superiore alla media”  l’azienda non è più tenuta a corrispondere i trattamenti economici per malattia contrattualmente dovuti. Si tratta del pagamento del c.d. periodo di carenza, relativo ai primi tre giorni di malattia, decorrendo l’erogazione del trattamento ad opera dell’Inps solo dal quarto giorno. Sul punto è tuttavia noto come la contrattazione collettiva dei primi anni ’70 abbia in genere previsto il pagamento dell’intera retribuzione anche per i primi tre giorni di malattia. La previsione in esame rappresenta pertanto una deroga al contratto collettivo nazionale del settore metalmeccanico, ma non certo la violazione di norma di legge né di principi costituzionali. Se del caso si tratterà di definire quale sia la percentuale di assenteismo significativamente superiore alla media, da non ricondurre peraltro a forme epidemiologiche. D’altro lato per evitare il rischio di colpire ingiustamente il lavoratore effettivamente malato, si rinvia, come accennato, ad una apposita commissione paritetica per i casi di particolare criticità a cui non applicare quanto sopra esposto.

4.      Segue: c) L’efficacia “orizzontale” e “verticale” del contratto collettivo. Ben più complesse risultano le questioni afferenti alla c.d. efficacia orizzontale dei contratti collettivi, in merito al loro ambito di estensione, nonché quelle relative alla c.d. efficacia verticale, concernente i rapporti tra contratti collettivi di diverso livello.

Rilevante conseguenza della mancata attuazione dell' art. 39 Cost. è, come noto, il venir meno della obbligatorietà generale (erga omnes) del contratto collettivo. A differenza del contratto corporativo, del periodo fascista, l'attuale contratto collettivo di diritto comune non è infatti efficace per tutti i lavoratori. Ciò significa che, come qualsiasi altro contratto fra privati, è valido solo per le parti fir­matarie. Affermare che il contratto collettivo non ha efficacia generale significa che se un'impresa, direttamente o tramite le associazioni datoriali stipulanti, non ha voluto vincolarsi con il sindacato nella determinazione delle condizioni di lavoro, non è tenuta, in linea di principio, ad applicare il contratto (nel caso di specie Fiat è sia parte dell’accordo di Pomigliano sia parte del Ccnl 2008 e 2009, sottoscritti da Federmeccanica, cui aderisce).

E’ da sottolineare, tuttavia, che mediante il ricorso a vari meccanismi di origine giurisprudenziale o legislativa, nella pratica l’appli­cabilità del contratto collettivo viene molte volte estesa anche alle imprese non affiliate. Così i giudici nell'applicazione del principio dell'art. 36, primo comma, della Costituzione, sulla retribuzione sufficiente, fanno di solito riferimento, a titolo orientativo, ai minimi tariffari stabiliti dalla contrattazione collettiva. Inoltre per giurisprudenza consolidata deve ritener­si vincolato l'imprenditore che per prassi costante applichi il contratto collettivo. Si ricorda, poi, che ai sensi dell' art. 36 dello Statuto dei lavoratori, sono tenuti al rispetto dei contrat­ti collettivi gli imprenditori che siano coinvolti in appalti di opere pubbliche, o che siano beneficiari di interventi finanzia­ri pubblici. Nella legislazione, infine, il beneficio degli sgravi contributivi  o di agevolazioni è in genere condizionato al rispetto dei contratti stipulati dai sindacati più rappresentativi (si vedano le connessioni con lo strumento del Durc).

In riferimento alla contrattazione aziendale, pur se è dubbio che il modello costituzionale oltre alla contrattazione di categoria si estenda a tale livello, la dottrina ha richiamato quali argomenti fondativi dell'applicazione generale della discipli­na collettiva (in presenza di eventuale dissenso): l'effettiva rappresentatività dei soggetti stipulanti; l'indivisibilità degli interessi coinvolti; il consenso prestato dalla maggioranza dei lavoratori.È da menzionare anche il ricorso allo schema della cosiddetta procedimentalizzazione dei poteri imprenditoriali, fatto proprio dalla Corte costituzionale (sentenza 268/1994) per affermare la generale obbligatorietà del contratto aziendale di tipo gestionale, cioè quello che si occupa di gestire situazioni di crisi (cassa integrazione, mobilità, licenziamenti collettivi). In tali casi infatti, secondo la Corte, l'effetto erga omnes di­scende dall'atto, unilaterale, del datore di lavoro di esercizio dei suoi poteri imprenditoriali e non dall'accordo sindacale, che si configura come un mero passaggio del procedimento da seguire per il legittimo esercizio di quei poteri, evitando così il possibile contrasto con l'art. 39 della Costituzione.

Secondo un’interpretazione della dottrina l’applicazione generale della (nuova) disciplina collettiva, anche aziendale, potrebbe derivare dalla clausola di rinvio dinamico, contenuta nella lettera di assunzione individuale, al trattamento contrattuale applicabile (tale clausola necessita in ogni caso dell’adesione  anche tacita del lavoratore)[10]. In caso tuttavia di dissenso esplicito del lavoratore alla nuova regolamentazione non si potrà rivendicare l’applicazione della precedente (nel caso di specie quella del Ccnl del 2008), in quanto la disciplina collettiva  non si incorpora in quella del contratto individuale di lavoro, ma opera come fonte eteronoma di regolazione del rapporto, rimanendo in vigore sul piano individuale i trattamenti minimi previsti per legge[11].

Peraltro la questione dell'applicazione generale del contratto collettivo, almeno aziendale, pare avere soluzione con la costituzione delle Rsu, stante la loro duplice ve­ste di organismo di rappresentanza sindacale e al contempo di rappresentanza (eletta) della generalità dei lavoratori. In tale ambito le decisioni prese, anche a maggioranza, in seno alle Rsu dovrebbero infatti valere per tutti i dipendenti dell'impresa.

Il problema del rapporto tra contratti collettivi di diverso livello (c.d. efficacia verticale) si è posto, e si pone, perché può accadere che un medesimo aspetto del rapporto di lavoro sia regolato in modo differenziato e contrastante ai vari livelli contrattuali: il con­tratto aziendale, ad esempio, può prevedere per una determi­nata indennità una somma diversa da quanto stabilito dal con­tratto nazionale di categoria.

In giurisprudenza è stata per lungo tempo dominante una so­luzione ispirata al criterio del favor per il lavoratore: tra le due regolamentazioni in contrasto prevarrebbe cioè quella più fa­vorevole al lavoratore. E ciò sulla base della configurazione del contratto aziendale come somma di contratti individuali, per cui anche ai rapporti tra contratti collettivi di diverso livel­lo troverebbe applicazione l'art. 2077 del codice civile che, nel disciplinare la relazione tra contratto collettivo e contratto indi­viduale, stabilisce la possibilità di deroghe ad opera del con­tratto individuale solo in quanto migliorative per il lavoratore. Nel corso degli anni Settanta il principio del favor è stato og­getto di numerose critiche. In particolare si è ritenuto che il contratto aziendale abbia la stessa natura (collettiva) del con­tratto nazionale di categoria, per cui non sarebbe applicabile quanto disposto dall'art. 2077 del codice civile; di conseguen­za si sono prospettate altre soluzioni. Secondo un primo orientamento, peraltro superato dagli esiti del referendum del 1995, sarebbe stato possibile rinvenire all'interno del sistema contrattuale un principio di gerarchia, per cui i con­tratti collettivi di livello inferiore non potrebbero modificare, né in meglio né in peggio, quanto stabilito dai contratti di livello superiore; e ciò sulla base del richiamo all'art. 19 dello Statuto dei lavoratori che riconosceva la possibilità di costituire rappre­sentanze sindacali aziendali solo nell'ambito di più vaste asso­ciazioni di categoria (estendendo così il rapporto gerarchico tra livelli di organizzazione sindacale agli atti da questi compiuti). Più di recente si è ritenuto che nel conflitto tra contratti collettivi di diverso livello, stante l'uguale natura collettiva dei con­tratti, prevalga in ogni caso la disciplina, nazionale o azienda­le, posteriore nel tempo, sia essa migliorativa o peggiorativa rispetto al contratto nazionale preesistente.

Per altri la soluzione del contrasto può essere individuata nel criterio della specialità, secondo il quale dovrebbe comunque prevalere il contratto aziendale, in quanto disciplina speciale, più vicina al rapporto di lavoro, sia in senso peggiorativo che migliorativo rispetto a quanto stabilito a livello nazionale. Ciò implica, tuttavia, che la regolamentazione aziendale sia opera di soggetti dei quali sia accertato il grado di rappresentatività (per non legittimare qualunque tipo di accordo avente l'appa­renza del contratto collettivo).

Più propriamente il rapporto tra i diversi livelli contrattuali può essere regolato, secondo un criterio di competenza, dalla contrattazione stessa, tramite ad esempio clausole di rinvio e una definizione più precisa delle materie negoziabili ai vari livelli. La giurisprudenza al riguar­do ha affermato che là dove siano rinvenibili indicazioni con­trattuali è a queste che si deve innanzitutto fare riferimento. In tal senso è decisamente indirizzato, come si è visto, l’accordo del 22 gennaio 2009 ed il successivo Ccnl del 15 ottobre 2009 (tra le altre, si veda Cassazione n. 13544/2008).

Secondo l'orientamento prevalente, nel rapporto tra due con­tratti per valutare il miglior favore, il raffronto va effettuato tra le regolamentazioni nel loro complesso (criterio del congloba­mento), o tra istituti omogenei (l'orario, le ferie ecc.) e non con riferimento alle singole clausole, estraendo da ogni con­tratto quelle più favorevoli e cumulandole tra loro (criterio del cumulo). Peraltro i contratti collettivi contengono in genere clausole cosiddette di inscindibilità, secondo le quali le dispo­sizioni contrattuali, di norma nell'ambito di ogni istituto, sono inscindibili tra loro e non cumulabili con altri trattamenti.

5.      Segue: d) La clausola di responsabilità. Tra le disposizioni più dibattute dell’accordo di Pomigliano figura quella relativa alla c.d. clausola di responsabilità (punto 14). Qualificate le clausole dell’accordo come correlate ed inscindibili tra loro si prevedono pesanti sanzioni a carico delle organizzazioni sindacali e/o delle Rsu stipulanti[12], in termini di revoca dei contributi e dei permessi sindacali a vario titolo, in caso di “mancato rispetto degli impegni assunti….ovvero (di) comportamenti idonei a rendere inesigibili le condizioni concordate” (il riferimento è in particolare  ai sabati in straordinario che rappresentano una deroga al contratto nazionale). Si tratta nella sostanza di un patto di tregua sindacale, cioè l’impegno a non proclamare scioperi, o altre forme di agitazione, che rendano impraticabili le condizioni di lavoro concordate, che trova riferimento nella disciplina contrattuale del 2009, ma ora con sanzioni più pesanti in caso di violazione. Tali clausole, rientranti nella c.d. parte obbligatoria del contratto collettivo (concernente gli impegni tra le parti firmatarie) [13], sono del tutto legittime venendo a regolare comportamenti propri delle organizzazioni sindacali stipulanti [14]. Più problematica appare invece l’ulteriore previsione, contenuta sempre nel punto n.14, secondo la quale gli stessi effetti penalizzanti per il sindacato sono prodotti da “comportamenti individuali e/o collettivi dei lavoratori idonei a violare, in tutto o in parte e in misura significativa” le clausole dell’accordo. E’ da domandarsi infatti a quali lavoratori ci si riferisca (presumibilmente anche ai non iscritti) e cosa debba intendersi per misura significativa. La disposizione in esame segna dunque il passaggio da un obbligo di mezzi, a tenere un comportamento proprio, ad un obbligo di risultato, a garanzia di una condotta altrui[15]. E’ l’affermazione di una forte assunzione di responsabilità da parte del sindacato, impegnato a rispettare e a far rispettare l’accordo. Sul punto non pare esservi alcuna violazione del diritto di sciopero [16], dal momento che le sanzioni sono poste nei confronti dei soli sindacati che non rispettino i patti sottoscritti e non dei singoli lavoratori. Si prevede d’altro lato l’attivazione di una speciale procedura tra le parti, tramite la istituzione di una apposita commissione paritetica (punto 16), per risolvere le controversie nell’applicazione di tale clausola, al fine di evitare una gestione unilaterale da parte dell’azienda[17].

6.      Segue: e) Le clausole integrative del contratto individuale di lavoro. La disposizione che ha sollevato maggiori critiche e perplessità è quella riportata al punto n.15, secondo la quale le clausole dell’accordo vengono ad integrare la regolamentazione dei contratti individuali di lavoro, per cui la violazione di una di esse da parte del singolo lavoratore costituisce infrazione disciplinare, potendo dar luogo a provvedimenti anche estintivi del rapporto di lavoro. Assai discutibile appare innanzitutto, per quanto sopra esposto, il presupposto dell’incorporazione del contratto collettivo nel contratto individuale, avendo le due fonti natura e portata diversa. Si è inoltre dibattuto se con tale previsione si venga a limitare o meno il diritto di sciopero[18]. Fermo restando che in caso di sciopero, o di altra forma di agitazione, che riguardi i turni aggiuntivi concordati, sanzionati sarebbero solo le organizzazioni sindacali non rispettose delle clausole di tregua e non anche i lavoratori aderenti[19], la previsione in esame assume valore “di sanzione disciplinare per comportamenti individuali ostruzionistici o di violazione delle clausole dell’Accordo non coperti da sciopero”[20]. A ben vedere essa risulta di fatto superflua in quanto tale effetto è ugualmente prodotto dalla violazione del regolamento aziendale. Se d’altro lato con lo sciopero si opera una sospensione del rapporto di lavoro, e delle relative obbligazioni principali (lavoro/retribuzione), non si potrà invocare l’esistenza di un inadempimento contrattuale in relazione ad un rapporto di lavoro già sospeso. E’ inoltre da richiamare l’evoluzione, operata prevalentemente da una parte della dottrina, circa la titolarità del diritto di sciopero: da diritto di libertà del singolo lavoratore, pur ad esercizio collettivo, in contrapposizione all’impresa, ad un maggior rilievo dei soggetti promotori ed in particolare dell’organizzazione sindacale (maggioritaria) che lo indice, in un contesto di interessi auspicabilmente condivisi, dove trovano spazio altri strumenti di soluzione stragiudiziale delle controversie di lavoro, quali la conciliazione e l’arbitrato[21]. Sul punto l’art.40, Cost. si limita ad affermare che “il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano”. Si affida dunque al legislatore il compito di precisarne le modalità realizzative, così come avvenuto ad opera della legge n.146/1990, come modificata dalla legge n.83/2000, che regola il diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali.

Secondo parte della dottrina la previsione in esame verrebbe d’altro lato ad incidere sui limiti posti dall’ordinamento all’esercizio del potere disciplinare e di licenziamento (art.2106, cod.civ; art.7, Stat.lav.). La qualificazione in termini di infrazione disciplinare della violazione, da parte del lavoratore, di una qualsiasi delle clausole dell’accordo e l’indefinito rinvio ai provvedimenti disciplinari contenuti nel contratto nazionale, nonché il venir meno in tale ipotesi dell’efficacia di tutte le altre clausole, con effetti estintivi sullo stesso rapporto di lavoro, appare infatti in contrasto con i principi di predeterminazione e di proporzionalità tra infrazione e sanzione applicabile, da tempo affermati dalla giurisprudenza [22].

 

 

7.      Spunti conclusivi

 

L’accordo di Pomigliano pur rappresentando la soluzione di un caso specifico pone questioni rilevanti per il futuro delle relazioni industriali. Molto dipenderà peraltro dalla sua effettiva gestione. “L’affidabilità degli impegni è un bene prezioso per le aziende in epoche di grandi incertezze; garantirla da parte del sindacato è una risorsa da spendere anche e soprattutto in situazioni di crisi”[23].

Le deroghe alla disciplina del contratto nazionale, talora opportune, necessitano d’altro lato di un quadro normativo definito, che richiede un diverso ruolo regolatorio del primo livello di contrattazione, magari alleggerito nei contenuti di più propria spettanza aziendale[24].

La vicenda di Pomigliano evidenzia in particolare un approccio al secondo livello di contrattazione in cui forte è l’intreccio tra rappresentanza e responsabilità. In tale contesto l’accordo collettivo è configurabile più che come armistizio tra parti contrapposte come processo, per una gestione condivisa di obiettivi comuni tra impresa e lavoro. Di conseguenza accanto ed oltre ai contenuti rilievo assumono le sedi e le procedure di partecipazione.

Firenze, 8 novembre 2010

RIASSUNTO: L’autore prende in rassegna l’accordo di Pomigliano attraverso l’esame delle clausole maggiormente controverse, giungendo alla conclusione che non vi sia alcuna violazione di principi costituzionali. D’altro lato l’accordo di Pomigliano, pur rappresentando la soluzione di un caso specifico, non generalizzabile, pone questioni rilevanti per il futuro delle relazioni industriali italiane, accelerando i tempi di attuazione della riforma del sistema contrattuale, operata con l’accordo del 22 gennaio 2009. In tale contesto la contrattazione collettiva si sviluppa nel segno del decentramento, della responsabilità e della partecipazione.

           



[1] Cfr. Fim-Cisl, Ufficio Sindacale Nazionale, L’Accordo di Pomigliano:una analisi dei contenuti, Roma,  28 giugno 2010.

[2] Cfr. E.MASSAGLI, M.TIRABOSCHI (a cura di), Pomigliano d’Arco, un accordo che fa discutere. Farà anche scuola?,in Bollettino Adapt, 21 giugno 2010, p.3.

[3] “Salvo quanto espressamente previsto per il comparto artigiano, la contrattazione di secondo livello si esercita per le materie delegate, in tutto o in parte, dal contratto nazionale o dalla legge e deve riguardare materie ed istituti che non siano già stati negoziati in altri livelli di contrattazione”.

[4]Per consentire il raggiungimento di specifiche intese per governare, direttamente nel territorio o in azienda, situazioni di crisi o per favorire lo sviluppo economico ed occupazionale, le specifiche intese potranno definire apposite procedure, modalità e condizioni per modificare, in tutto o in parte, anche in via sperimentale e temporanea, singoli istituti economici o normativi dei contratti collettivi nazionali di lavoro di categoria”.

[5] Cfr. punto n.3.2.

[6] “Quali, ad esempio, l’andamento del mercato del lavoro, i livelli di competenze e professionalità disponibili, il tasso di produttività, il tasso di avvio e di cessazione delle iniziative produttive, la necessità di determinare condizioni di attrattività per nuovi investimenti”.

[7] Cfr. sul punto in particolare F.CARINCI, Se quarant’anni vi sembran pochi: dallo Statuto dei lavoratori all’Accordo di Pomigliano,in Working Papers,  Centro Studi di Diritto del Lavoro Europeo “Massimo D’Antona”, Università degli Studi di Catania, Facoltà di Giurisprudenza, n.108/2010, p.16.

[8]Le intese modificative, definite a livello aziendale con l’assistenza delle Associazioni industriali e delle strutture territoriali delle Organizzazioni sindacali stipulanti, dovranno indicare: “gli obiettivi che si intendono conseguire, la durata (qualora di natura sperimentale o temporanea), i riferimenti puntuali agli articoli del CCNL oggetto di modifica, le pattuizioni a garanzia dell’esigibilità dell’accordo con provvedimenti a carico degli inadempienti di entrambe le parti”.

[9] Cfr. sul punto F. ALVARO, Sub art.39 Cost.,in  M.GRANDI-G.PERA (a cura di), Commentario breve alle leggi sul lavoro, Padova, 2009, pp.93 ss.

[10] Cfr. A.MARESCA, Accordi collettivi separati: tra libertà contrattuale e democrazia sindacale, in Riv.it.dir.lav., 2010, I, specie pp.53 ss. In senso parzialmente critico su tale soluzione cfr. G.SANTORO PASSARELLI, Efficacia soggettiva del contratto collettivo: accordi separati, dissenso individuale e clausola di rinvio, in Riv.it.dir.lav., I, 2010, pp.517 ss.

[11] Cfr. A.MARESCA, cit., p. 57.

[12] Anche a livello di singoli componenti.

[13] Diversamente dalla c.d. parte normativa del contratto collettivo, concernente la regolazione del rapporto individuale di lavoro.

[14] Cfr.  in particolare R. DE LUCA TAMAJO, Le criticità del sistema di relazioni industriali, in  Il caso Pomigliano, AREL, Europa Lavoro Economia,n. 8/9, 2010, p.31.

[15] Cfr. in tal senso F.CARINCI, cit., p.19; secondo R.DE LUCA TAMAJO, cit., p.32, “Dal punto di vista giuridico di null’altro si tratta che dell’apposizione di una condizione risolutiva, rappresentata dall’avverarsi dei comportamenti stigmatizzati dalla clausola, ai diritti convenzionalmente pattuiti in tema di permessi sindacali aggiuntivi e di contributi”.

[16] Cfr. più ampiamente, infra.

[17] Evidenzia tale aspetto T.TREU, Così Pomigliano mette spalle al muro sindacati e imprese, da Autoblog.it.

[18] Propende per l’affermativa L.MARIUCCI, Note su un accordo singolare, da Autoblog.it.

[19] Cfr. Fim-Cisl, Ufficio Sindacale Nazionale, cit., p.5.

[20] In tal senso R.DE LUCA TAMAJO, cit., p.32.

[21] Cfr. in particolare  P. ICHINO, Appunti di un giurista su Pomigliano, da Autoblog.it.; M.TIRABOSCHI, Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano, in Bollettino Adapt, n.7/2009.  Per le diverse posizioni al riguardo cfr. M.PALLINI, Clausole di tregua:attacco alla Costituzione od opportunità?, in Il caso Pomigliano, AREL, Europa Lavoro Economia,n. 8/9, 2010, pp.38-39.

[22] Cfr. F.CARINCI, cit., pp.22-23.

[23] In tal senso T.TREU,  Editoriale in AREL, Europa Lavoro Economia,n. 8/9, 2010, p.3.

[24] Cfr. .TREU,  Editoriale in AREL, Europa Lavoro Economia,n. 8/9, 2010, p.4.

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