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La Delega per l'adozione del Testo Unico sulla Sicurezza del Lavoro, spunti di riflessione

  1. Le proposte delle passate legislature

 

Si torna a parlare di Testo unico sulla sicurezza del lavoro. Il 16 febbraio 2007 il Consiglio dei Ministri ha infatti approvato uno schema di disegno di legge recante “delega al Governo per l’emanazione di un testo unico per il riassetto normativo e la riforma della salute e sicurezza sul lavoro”, documento che presenta significative novità rispetto alla bozza di legge delega fino ad allora in circolazione[1] .

La prospettiva dell’adozione di un Testo Unico in materia di sicurezza del lavoro non è nuova. Già l’art.24, della legge n.833 del 1978, di riforma sanitaria, prevedeva una delega al Governo ad emanare (entro il 31 dicembre 1979 !) un Testo Unico in materia di sicurezza del lavoro, di riordino della disciplina generale, “unificando e innovando” la legislazione vigente al fine di meglio garantire la salute e l’integrità fisica dei lavoratori. La delega, come noto, non è stata mai esercitata.

Anche in relazione all’abbondante produzione normativa intervenuta a seguito del d.lgs.n.626/1994, più di recente si è riproposta la necessità dell’adozione di un Testo Unico che consenta di “disporre di un sistema dinamico, facilmente comprensibile e certo nell’indicazione dei principi e dei doveri; e di eliminare la complessità e talora la farraginosità di un sistema cresciuto in modo alluvionale”[2].

Alla fine degli anni novanta si erano contrapposte due diverse impostazioni al riguardo. Da un lato il disegno di legge n.2389, di iniziativa del sen. Smuraglia, approvato dalla Commissione lavoro del Senato il 2 giugno 1999, poi decaduto con la fine della legislatura senza poter essere neanche discusso in aula[3], sottolineava con decisa enfasi il carattere innovativo, e non solo compilativo, dell’emanando provvedimento, affidando ad esso un’ampia funzione di integrazione, completamento ed innovazione della legislazione vigente[4]; i limiti di tale proposta consistevano tuttavia nella difficoltà di una sua rapida approvazione (essendo la delega al Governo “circostanziata” in 12 principi generali ed in ben 129 principi e criteri direttivi di carattere specifico). Dal suo canto il Governo, muovendosi al contrario da un’ipotesi di delega minimale, contenuta nell’art.8, della legge comunitaria 1993 (legge n.146/1994) aveva predisposto un testo di razionalizzazione e coordinamento della normativa esistente, testo predisposto, nella sua parte generale, da un gruppo di esperti presso il Ministero del lavoro, coordinato dal prof. M.Biagi[5] .I  limiti del progetto potevano essere individuati nel fatto che l’opera di semplificazione linguistica e di armonizzazione terminologica dava talora luogo a formulazioni ambigue se non proprio contrastanti con i principi posti dal d.lgs.n.626/1994, venendo ad intaccare aspetti sostanziali ai fini di un’efficace azione preventiva. In particolare in riferimento all’obbligo di valutazione dei rischi le modifiche proposte[6] sembravano far venire meno il carattere preventivo di tale obbligo. Anche tale testo non ebbe tuttavia ulteriori sviluppi.

L’utilità di predisporre un Testo Unico di riordino della complessa normativa in materia di sicurezza del lavoro era stata poi ribadita nel Libro bianco sul mercato del lavoro in Italia presentato dal nuovo Governo di centro-destra nell’ottobre 2001 [7]. Da ultimo, il 18 novembre 2004, lo stesso Governo, sulla base della delega conferita dall'art.3, della legge n.229/2003 (legge di semplificazione 2001), aveva varato in via preliminare un corposo articolato di Testo unico sulla sicurezza del lavoro[8]. Dopo un acceso confronto che, oltre alle parti sociali ed alle associazioni interessate, ha visto coinvolti gli stessi organi istituzionali ( cfr. i pareri critici espressi dal Consiglio di Stato - adunanze del 31 gennaio e del 4 aprile 2005 - e dalla Conferenza delle Regioni, 3 marzo 2005) avente come principale motivo di contesa l'esatto riparto di competenze in una materia - la tutela e sicurezza del lavoro- di legislazione concorrente[9], il Governo, nel maggio 2005,optava per il non esercizio della delega.

  

  1. Il nuovo schema di ddl delega: osservazioni generali

 

Alcune considerazioni di ordine preliminare. Condivisibile pare in primo luogo il metodo utilizzato, di stretta collaborazione tra Ministero del lavoro e Ministero della salute e di coinvolgimento delle parti sociali fin dalla stesura originaria del testo. E’ auspicabile che tale metodo venga sviluppato anche con riguardo al ruolo delle Regioni e degli altri enti pubblici interessati (ad es.Inail, Ispesl).

Tratto comune di molti punti della delega è il necessario coordinamento tra i diversi soggetti operanti in materia ed il consolidarsi di una cultura della prevenzione, attraverso un approccio di sistema basato sul c.d. “tripartitismo”, principio già affermato sul piano internazionale, in ambito O.I.L. [10],e che il ddl estende a tutti i livelli. Tale principio implica la definizione di un quadro possibilmente chiaro delle diverse responsabilità istituzionali, in un’ottica di integrazione e non di sovrapposizione di ruoli, e delle sedi di confronto con le organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori, su un piano di rappresentanza paritetica, con previsione di risorse appositamente dedicate. Si tratta di una significativa novità perché nel nostro Paese, a differenza di altre esperienze europee, scarse sono le pratiche di bilateralità e di relazioni (formalizzate) tra parti sociali ed istituzioni. La prospettiva indicata non fa peraltro venire meno, come si evince dallo stesso schema di delega[11], il ruolo della contrattazione collettiva che, specie a livello aziendale,  dovrebbe farsi portatrice di proposte di merito[12].

Principali innovazioni rispetto alla precedente bozza di legge delega sono peraltro la maggiore enfasi posta sulla necessità di garantire in conformità all’art.117, Cost., “l’uniformità della tutela dei lavoratori sul territorio nazionale[13], riportando in premessa (comma 1, art.1) quanto nella versione originaria sostanzialmente previsto come criterio direttivo (lett.a), comma 2, art.1)[14], e soprattutto, un po’ a sorpresa, l’indicazione di un range abbastanza preciso entro il quale determinare l’apparato sanzionatorio, con possibili ricadute di responsabilità anche sulle persone giuridiche[15].

Di particolare rilievo è inoltre la “clausola di salvaguardia”, da ultimo introdotta, secondo cui i decreti di attuazione della delega, da emanare entro 12 mesi, “non possono disporre un abbassamento dei livelli di protezione, di sicurezza e di tutela o una riduzione dei diritti e delle prerogative dei lavoratori e delle loro rappresentanze”(art.1, comma 3°). La previsione, che pare ispirarsi alle clausole di non regresso contenute nelle direttive comunitarie in materia, dovrebbe valere come limite anche per i legislatori regionali.

Strettamente connessa all’elaborazione del Testo Unico sulla sicurezza del lavoro è d’altro lato la revisione della normativa sugli appalti, attualmente in fase di discussione[16], nonché la riforma del sistema dell’assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali (d.p.r. n.1124/1965), non solo al fine della riduzione dei premi assicurativi e degli incentivi per le imprese che investano in sicurezza[17], ma anche per migliorare le prestazioni dei lavoratori ed aggiornare la tabella delle malattie professionali, definendo procedure e periodicità più efficaci[18]

  1. I principi e criteri direttivi contenuti nella delega

 

Primo tra i principi e criteri direttivi indicati è il “riordino e coordinamento delle disposizioni vigenti, nel rispetto delle normative comunitarie e delle convenzioni internazionali in materia, in ottemperanza a quanto disposto dall’art.117 della Costituzione” (lett.a). Al riguardo è da menzionare in particolare la fondamentale direttiva quadro n.89/391/Ce, che è stata all’origine del sistema prevenzionale disposto dal d.lgs.n.626/1994.

I criteri contemplati alle lettere b) e c) hanno a che fare con il campo di applicazione, rispettivamente oggettivo e soggettivo, della normativa di sicurezza sul lavoro. L’estensione della tutela era peraltro una linea già presente nello schema di Testo unico del precedente esecutivo. La necessità di tener conto delle “peculiarità o della particolare pericolosità” delle attività e delle tipologie di rischio nonché “della specificità di settori ed ambiti lavorativi”, con esplicito riferimento alla pubblica amministrazione, poteva d’altro lato essere compresa nei più ampi parametri contenuti nell’art.2087 cod.civ. (appunto la particolarità del lavoro, ma anche l’esperienza e la tecnica), tramite un espresso richiamo a tale norma che, a nostro avviso, costituisce anche per il futuro riferimento prioritario per la determinazione dei principi fondamentali, riservati alla legislazione statale, nell’ambito dei quali esercitare la competenza concorrente delle Regioni[19]. Se positivo è l’ampliamento “a tutti i lavoratori e lavoratrici[20] ,autonomi e subordinati, nonchè ai soggetti ad essi equiparati”[21], prevedendo una tutela mirata per determinate categorie e per specifiche tipologie di lavoro o settori di attività, prospettiva che si pone nell'ottica delle indicazioni comunitarie, peraltro espressamente richiamate[22], nondimeno opportuna poteva risultare l’esplicitazione di attività difficilmente riconducibili al lavoro autonomo o subordinato (si pensi al volontariato ed al lavoro dell’impresa familiare)[23].

La “semplificazione degli adempimenti meramente formali… con particolare riguardo alle piccole e medie imprese” (lett.d) lascia più di un dubbio interpretativo[24],mentre più chiara pare l’indicazione relativa al riordino della normativa tecnica “al fine di operare il necessario coordinamento tra le direttive di prodotto e quello di utilizzo e di razionalizzare il sistema pubblico di controllo”(lett.e).

Le previsioni relative alla “riformulazione e razionalizzazione dell’apparato sanzionatorio”, amministrativo e penale, (lett.f) figurano, come accennato, tra i punti qualificanti ed innovativi della delega (sul punto si ricorda peraltro che la l.Finanziaria 2007,art.1,commi1177/1179, ha quintuplicato gli importi delle sanzioni amministrative previste per violazione di norme in materia di lavoro, legislazione sociale, previdenza e tutela della sicurezza e salute nei luoghi di lavoro entrate in vigore prima del 1°gennaio 1999, ad eccezione di quelli relativi alla violazione derivante dalla omessa istituzione o esibizione dei libri matricola e paga).

Si dovrà innanzitutto tener conto della responsabilità e delle funzioni svolte da ciascun soggetto obbligato nonché della natura sostanziale o formale della violazione. In particolare si prevede “la modulazione delle sanzioni in funzione del rischio…confermando e valorizzando il sistema del decreto legislativo 19 dicembre 1994, n.758”, basato sul principio del c.d. “invito ad adempiere”, nonché la determinazione delle sanzioni penali dell’arresto e dell’ammenda solo nei casi in cui le infrazioni ledano “interessi generali dell’ordinamento”[25], individuati in base ai criteri ispiratori degli articoli 34 e 35 della legge n.689/1981, da comminare in via esclusiva ovvero alternativa, stabilendosi limiti massimi di sanzione a seconda della tipologia di infrazione[26].

L’elemento di maggiore novità è tuttavia rappresentato dall’applicazione “delle disposizioni sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche” di cui al d.lgs.n.231/2001, ai reati di omicidio colposo e lesioni personali colpose commessi in violazione delle norme di sicurezza e salute sul lavoro, “con previsione di una sanzione pecuniaria non inferiore a mille quote[27] e di sanzione interdittiva non superiore ad un anno”. Si tratta dunque del superamento del tradizionale principio “societas delinquere  et puniri non potest”, stabilendosi sanzioni di natura pecuniaria e di carattere interdittivo che si vanno ad aggiungere alla responsabilità personale dei soggetti coinvolti (non venendo dunque ad intaccare il principio contenuto nell’art.27, Cost.)[28]. Si tratta di un regime sanzionatorio già introdotto per contrastare la criminalità economica e finanziaria, e che ora si estende anche alla materia della sicurezza sul lavoro.

Accogliendo infine una proposta anche di parte sindacale si dispone “la graduazione delle misure interdittive in dipendenza della particolare gravità delle disposizioni violate”.

Non del tutto congrua, almeno sul piano lessicale, pare la formulazione di cui alla lettera g), circa la “revisione dei requisiti e delle funzioni dei soggetti del sistema di prevenzione aziendale” se poi si prende a  particolare riferimento il rafforzamento del ruolo del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale (rlst), dal momento che tale figura, come noto, è di rappresentanza dei lavoratori e non ha un profilo tecnico, per cui è improprio parlare di requisiti (come potrebbe invece essere per il medico competente o per il datore di lavoro per i casi di esercizio diretto delle funzioni di Rspp)[29].

I criteri posti nelle lettere che vanno dalla h) alla o) sono volti a consolidare le sedi e gli strumenti della bilateralità e del tripartitismo in diverse aree della sicurezza del lavoro.

In primo luogo è prevista la “rivisitazione e potenziamento delle funzioni degli organismi paritetici, anche quali strumento di aiuto alle imprese nella individuazione di soluzioni tecniche e organizzative dirette a garantire e migliorare la tutela della salute e sicurezza sul lavoro” . Come noto gli organismi paritetici territoriali, ai sensi  dell’art.20, d.lgs.n.626/1994, sono chiamati a svolgere due rilevanti funzioni: quella di promozione e orientamento di iniziative formative e quella di prima istanza di riferimento in merito a controversie sorte sull’applicazione dei diritti di rappresentanza, informazione e formazione, compiti meglio specificati dalla contrattazione collettiva[30]. Si tratta dunque di un’attribuzione ulteriore, che non sostituisce quelle appena menzionate (come si desume dalla congiunzione anche), di un ruolo di assistenza di merito alle imprese (ma perché non anche ai lavoratori ed ai loro rappresentanti) che, ad esempio sul modello dei CPT dell’edilizia, richiede competenze professionali e risorse a tal fine dedicate.

L’affermazione più avanzata del c.d. tripartitismo la si trova peraltro alla lett.i), là dove si prospetta, in raccordo con il necessario coordinamento delle attività, la “…ridefinizione dei compiti e della composizione,da prevedere su base tripartita…”non solo della Commissione consultiva permanente, a livello nazionale, ex art.26, d.lgs.n.626/1994, che già vede tra i suoi componenti esperti designati dalle organizzazioni del datori di lavoro e dei lavoratori, ma anche, e soprattutto, dei Comitati Regionali di Coordinamento, di cui all’art.27, d.lgs.n.626/1994, che nell’attuale previsione sono organismi esclusivamente interistituzionali, disponendosi solo a carico delle Regioni  “forme di consultazione delle parti sociali” circa la loro attività[31]. Si pongono così le basi per l’attuazione della convenzione O.I.L. n.187/2006 (non ancora entrata in vigore), che impegna gli Stati ratificanti alla predisposizione di un vero e proprio sistema integrato e condiviso per la promozione della sicurezza e della salute sul lavoro.

Nella stessa direzione è orientato il criterio successivo relativo alla “ valorizzazione di accordi aziendali nonchè, su base volontaria , dei codici di condotta ed etici e delle buone prassi” che orientino i comportamenti dei datori di lavoro, “anche secondo i principi della responsabilità sociale”[32]e di tutti i soggetti interessati(lett.l),in funzione  migliorativa rispetto ai livelli di tutela definiti legislativamente. Anch’esso coinvolge il ruolo della bilateralità/trilateralità, dal momento che necessaria sarà la validazione ed il monitoraggio degli stessi ad opera dei  soggetti con competenza specifica al riguardo(Regioni, Inail, Ispesl, parti sociali). Strettamente connessa è poi la “definizione di un assetto istituzionale fondato sulla organizzazione e circolazione delle informazioni, delle linee guida e delle buone pratiche”, anche attraverso la predisposizione di un “sistema informativo nazionale per la prevenzione” (lett.m), costituito dalle diverse istituzioni interessate, con la partecipazione delle parti sociali, e a cui sono chiamati a concorrere gli organismi paritetici e le associazioni e gli istituti di settore a carattere scientifico (lett.n).

Di particolare rilievo è il punto relativo alla “promozione della cultura e delle azioni di prevenzione”(lett.o), aspetto più volte evidenziato[33], ma che stenta a trovare applicazioni concrete.

Al riguardo si prevede in primo luogo “la realizzazione di un sistema di governo per la definizione, tramite forme di partecipazione tripartita, di progetti formativi, con particolare riferimento alle piccole e medie imprese, da  indirizzare, anche attraverso il sistema della bilateralità, nei confronti di tutti i soggetti del sistema di prevenzione aziendale, finanziati dall’Inail quali proprie spese istituzionali”. Si distingue  dunque la fase della scelta, in sede tripartita, delle iniziative formative, da quella della gestione delle stesse, anche attraverso gli organismi paritetici. Si potrebbe ad esempio pensare, a livello territoriale, a sessioni specializzate, sul versante formativo, dei Comitati Regionali di Coordinamento. Di fondamentale rilievo, anche se non esplicitato nel ddl delega, è il tema della certificazione della formazione. Numerose sono state infatti in questi anni le iniziative informative e formative realizzate da enti pubblici e privati, quasi mai coordinate tra loro. Urgente sembra dunque la predisposizione di un sistema di certificazione condiviso (da annotare ad esempio sul libretto formativo del cittadino[34]), garantito dal servizio pubblico, al fine di una verifica e controllo sulla qualità della formazione erogata, evitando che l’obbligo formativo scada in un mero adempimento burocratico. Di particolare rilevanza è la definizione di un sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi, da rapportare all’esperienza, alla competenza professionale ed alla formazione in materia di sicurezza. I percorsi formativi, anche di eccellenza, per lavoratori, Rls e le altre figure specialistiche, pur necessari, non sono infatti sufficienti, se inseriti in contesto organizzativo e produttivo non attento alla tematica in esame. La formazione alla sicurezza dovrebbe pertanto riguardare in primo luogo le figure aziendali (datore di lavoro, dirigenti, preposti) tenuti prioritariamente alla verifica del rispetto delle misure di prevenzione. Si potrebbe così prevedere per chi voglia intraprendere un’attività di impresa un obbligo formativo preventivo alla sicurezza, che tenga conto delle caratteristiche di pericolosità delle attività che si intendano avviare, dell’esperienza e dei livelli di istruzione[35]. Si è proposta anche una sorta di “patente a punti”, tramite ad esempio un meccanismo di penalità che escluda la possibilità di esercitare attività imprenditoriale e di partecipare a gare di appalto in caso di violazione delle norme sociali[36].Tale aspetto, presente nella prima stesura del ddl delega, si ritrova nella versione finale solo per un fugace richiamo in materia di appalti[37], riducendo così , su un punto sostanziale, la portata innovativa del provvedimento.

Sempre collegato alla promozione della cultura e delle azioni per la prevenzione è il prospettato finanziamento, a carico dell’INAIL, nell’ambito e nei limiti delle spese dell’Istituto, degli investimenti in materia di salute e sicurezza a favore delle piccole e medie imprese, linea già espressa negli ultimi anni e ribadita nella l.Finanziaria 2007, che peraltro, in maniera più puntuale, contempla, tra l’altro, forme di controllo sociale circa l’utilizzo di benefici ed incentivi pubblici[38].

Si prospetta infine, secondo quanto più volte affermato[39], “la promozione e la promulgazione (?) della cultura della salute e sicurezza sul lavoro all’interno dell’attività scolastica ed universitaria e nei percorsi di formazione”[40]. Sul punto più chiara risultava la formulazione precedente[41].

Altro punto di rilievo è il “la razionalizzazione e coordinamento delle strutture centrali e territoriali di vigilanza” al fine di rendere più efficaci gli interventi[42] (lett.p). La prospettiva è quella di sviluppare una programmazione integrata delle attività. Ciò stante anche il sempre più forte legame tra vigilanza in materia di salute e sicurezza e contrasto del lavoro sommerso ed irregolare, minorile ed extracomunitario in particolare[43]. Non vi è dubbio infatti che un maggior raccordo tra le molteplici figure ispettive oggi presenti (Ispettorato del lavoro, Asl, Inail, Inps, Ispettorato in materia fiscale) appaia quanto mai necessario. Vi è inoltre un’esigenza di certezza da parte dei destinatari degli obblighi di sicurezza in merito alle indicazioni provenienti dagli organismi di vigilanza sì da evitare il rischio di valutazioni contrastanti[44]. Anche in tal caso determinante è il coordinamento soprattutto a livello territoriale, da realizzare in raccordo con i nuovi compiti prospettati per i Comitati Regionali di coordinamento[45].

L’esclusione di qualsiasi onere finanziario” a carico del lavoratore e della lavoratrice in relazione all’adozione delle misure di sicurezza (lett.p), potrebbe sembrare una mera ripetizione di principi già espressamente stabiliti[46], se non fosse per l’aggiunta dell’aggettivo “subordinati”che qualifica la previsione in esame in senso peggiorativo rispetto al quadro normativo vigente, in contraddizione peraltro con l’affermato principio di estensione della tutela[47].

Di rilevante attualità è il penultimo criterio indicato della “revisione della normativa in materia di appalti” , da un lato prevedendo misure volte a “migliorare l’efficacia della responsabilità solidale tra appaltante ed appaltatore e il coordinamento degli interventi di prevenzione dei rischi, con particolare riferimento ai subappalti, anche attraverso l’adozione di meccanismi che consentano di valutare la idoneità tecnico-professionale delle imprese pubbliche e private considerando il rispetto delle norme relative alla salute e sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro, quale elemento vincolante per la partecipazione alle gare relative agli appalti e subappalti pubblici e per l’accesso ad agevolazioni, finanziamenti e contributi a carico della finanza pubblica”, dall’altro a “modificare il sistema di assegnazione degli appalti pubblici al massimo ribasso, al fine di garantire che l’assegnazione non determini la diminuzione del livello di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori”(lett.r). L’indicazione si inserisce nella linea dei provvedimenti adottati nell’ultimo periodo per contrastare il lavoro nero ed irregolare: a partire dalle norme di attuazione della c.d.”legge Biagi” (art.86, comma 10, d.lgs.n.276/2003 e successive modifiche ed integrazioni), che per il settore dell’edilizia, riprendendo un’indicazione già contenuta nella disciplina contrattuale, hanno istituito il documento unico di regolarità contributiva (Durc), che può essere rilasciato, oltre che da Inps ed Inail, anche dalle Casse edili[48],indirizzo poi sviluppato con l’art.36-bis del d.l. n.223/2006 (c.d.”decreto Bersani), convertito in l.n.248/2006, con le misure per l’emersione e la regolarizzazione dei rapporti di lavoro contenute nella l.Finanziaria 2007, e da ultimo con le modifiche al c.d. Codice degli appalti (d.lgs.n.163/2006). Per la responsabilità in solido del committente per il pagamento delle retribuzioni e dei contributi dovuti ai dipendenti dell’appaltatore, cfr. già l’art.29, comma 2, del d.lgs.n.276/2003, modificato dal d.lgs.n.251/2004 e, da ultimo, dall’art.1, comma 911, della l.Finanziaria 2007, che ha esteso la responsabilità solidale anche ai casi di subappalto[49]. E’ da sottolineare, quale elemento centrale di tale strategia, la riserva di benefici ed incentivi pubblici alle imprese che non solo rispettino le norme di sicurezza, ma anche applichino i contratti collettivi e siano in grado di dimostrare il corretto adempimento degli obblighi contributivi ed assicurativi.

Ultimo criterio, aggiunto nella versione finale dello schema di l.delega è la “rivisitazione delle modalità di attuazione della sorveglianza sanitaria”, dovendosi essa adeguare “alle differenti modalità organizzative del lavoro, ai particolari tipi di lavorazioni ed esposizioni, nonché ai criteri ed alle linee guida scientifiche più avanzate, anche con riferimento al prevedibile momento di insorgenza della malattia” (lett.s), formulazione non priva di elementi di ambiguità[50].

Nel complesso ne emerge un testo che contiene molti spunti di interesse, che tuttavia abbisogna di miglioramenti ed integrazioni anche su aspetti significativi (quali ad esempio la definizione di in sistema di qualificazione delle imprese), al momento non sufficientemente sviluppati.

 


[1] Tra i primi commenti cfr. A.GUARDAVILLA e R.PAVANELLO, Lo schema di legge delega per il testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro: le novità e gli aspetti più significativi, in www.amblav.it ; C.FRASCHERI,Commenti a ventiquattro ore dal varo ufficiale della Delega al Governo per l’emanazione di un testo unico per il riassetto normativo e la riforma della salute e sicurezza sul lavoro, CISL, pubblicazione interna.

[2]  In tal senso le conclusioni della Commissione parlamentare Smuraglia, del 22 luglio 1997, dove peraltro si mette in rilievo come oltre ad un deficit “strutturale”, al quale può parzialmente rispondere l’emanazione di un Testo Unico, occorra colmare un deficit di natura “culturale”, mediante la formazione di una cultura diffusa della prevenzione. Le conclusioni della Commissione Smuraglia sono pubblicate,tra l’altro, in ISL,1997, n.9, inserto.

[3] Sul difficoltoso iter parlamentare del ddl n.2389, cfr. lo stesso C.SMURAGLIA, Sicurezza e igiene del lavoro.Quadro normativo. Esperienze attuative e prospettive,in Riv.giur.lav., 2001 , pp.477-479.

[4] Si proponeva un sistema articolato, radicato nella fonte legislativa, composto da: una normativa di principio, valida per tutti i settori; una serie di decreti legislativi di carattere specifico per settori maggiormente esposti a rischio o richiedenti una disciplina particolare; un regolamento, agevolmente adeguabile, per le determinazioni di natura più strettamente tecnica e attuativa.

[5] Obiettivo dichiarato era, tra l’altro, quello di agevolare l’effettiva esigibilità del dato legale, tenuto conto delle molteplici diversità, settoriali, produttive, contrattuali, territoriali, che caratterizzano sempre più il mercato del lavoro. Prospettiva questa che presupponeva il ricorso a soluzioni ulteriori rispetto alla legge quali: la valorizzazione delle fonti di rango secondario; il rinvio alla contrattazione collettiva; la possibile delegificazione della materia; il decentramento di alcune competenze o funzioni a livello regionale o locale. Il provvedimento peraltro più che a stabilire nuovi obblighi e nuovi oneri per il sistema produttivo mirava a delineare una logica unitaria nella normativa esistente prendendo a riferimento i principi e l’impianto di fondo delle direttive comunitarie. “In questo senso il Testo Unico potrebbe anche presentare profili di profonda innovazione (non tanto normativa, ma culturale e sistematica) rispetto al quadro legale preesistente”; cfr. le note metodologiche introduttive , in Dir.rel.ind., 1998, p.81; per il testo della proposta pp.98 ss.

[6] Quali la soppressione della frase secondo la quale la valutazione dei rischi va effettuata “nella scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze o dei preparati chimici impiegati…”, art.4, comma 1 e l’eliminazione dal documento conseguente del “programma delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza”, art.4, comma 2, lettera c).

[7] Cfr.pp.75-76 del Libro Bianco.

[8] Al riguardo cfr. M.LAI, Flessibilità e sicurezza del lavoro, Giappichelli, Torino, 2006, pp.242 ss.

[9] In base al nuovo assetto costituzionale derivante dalla riforma del Titolo V°, Cost., del 2001.

[10] Cfr., da ultimo la convenzione n.187 – raccomandazione n.197-, del 2006, sul quadro promozionale per la salute e la sicurezza del lavoro, che, in una prospettiva di miglioramento continuo, prevede l’impegno per gli Stati ratificanti a promuovere, in consultazione con le parti sociali, una politica, un sistema ed un programma nazionali in materia.

[11] Cfr. art.1, comma 2°, lett.l), infra.

[12] Cfr. il documento dell’Assemblea nazionale dei quadri e delegati Cgil-Cisl-Uil, Roma, 12 gennaio 2007.

[13]Attraverso il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”. Probabilmente è da intendersi la garanzia, attraverso le Regioni, della presenza e del rafforzamento dei dipartimenti per la prevenzione su tutto il territorio nazionale al fine, tra l’altro, di assicurare appropriati ed omogenei livelli di assistenza, a titolo gratuito, anche in materia di sicurezza del lavoro; ciò comporta la definizione di standard di spesa, non comprimibili, a livello territoriale. E’ da segnalare che nei livelli essenziali di assistenza (L.E.A.), di cui all’art.1, comma 3, d.lgs. n.502/1992, come sostituito dall’art.1, d.lgs.n.229/1999, a carico del Servizio sanitario nazionale, sono comprese anche le prestazioni relative alla “assistenza sanitaria collettiva in ambiente di vita e di lavoro”. Tale esigenza era già presente in  “Carta 2000-Sicurezza del lavoro”, documento presentato dal Governo alla conferenza di Genova, del 3-5 dicembre 1999; cfr., anche per riferimenti, M.LAI, La sicurezza del lavoro tra legge e contrattazione collettiva,Giappichelli, Torino, 2002, pp. 329 ss. D’altro lato l’uniformità  della tutela pare meglio assicurata dal ricondurre la disciplina del rapporto di lavoro, in quanto rapporto tra privati, ed in particolare degli obblighi di sicurezza, nella materia dell’”ordinamento civile”, di esclusiva competenza statale, ai sensi dell’art.117, comma secondo, lett.l), della Costituzione, secondo il costante indirizzo della Corte Cost.(cfr. in particolare la sentenza 10 dicembre 2003, n.359, sulla illegittimità costituzionale della legge della Regione Lazio (n.116/2002) in tema di mobbing nei luoghi di lavoro e la sentenza 28 gennaio 2005, n.50,con cui si sono respinte gran parte delle questioni di legittimità sollevate da alcune Regioni nei confronti della legge di riforma del mercato del lavoro (l.n.30/2003) e delle relative norme di attuazione (d.lgs.n.276/2003-).Cfr. tuttavia la pronuncia 28 gennaio 2005, n.51, con cui la Corte ha accolto il ricorso presentato dalla Regione Emilia Romagna in relazione all'art.47, 1°comma, legge 27 dicembre 2002, n.289, in tema di finanziamento degli interventi per la formazione professionale, ed all'art.48, della stessa legge, in tema di fondi interprofessionali per la formazione continua, nella parte in cui non prevede strumenti idonei a garantire una leale collaborazione fra Stato e Regioni. Cfr. anche sentenza 14 ottobre 2005, n.384, con cui la Corte ha respinto, salvo limitate eccezioni, i ricorsi presentati da alcune Regioni, contro le norme della “Biagi” sulla riforma dei servizi ispettivi (art.8, legge n.30/2003 e d.lgs. n.124/2004). E’ da osservare infatti che la giusta valorizzazione delle specificità territoriali deve tener conto della tendenziale vocazione universalistica dei diritti civili e sociali (fondamentali),in quanto diritti delle persone prima che di appartenenti a determinate comunità locali.

[14] Si è fatta notare quale aggiunta lo specifico riferimento ai “diritti civili e sociali”, cfr. FRASCHERI, cit.

[15] Cfr. infra. Sul punto in particolare cfr. G.NEGRI, in il Sole-24 Ore, domenica  18 febbario 2007, p.21.

[16] Per le norme del Codice degli appalti inerenti la sicurezza del lavoro si rinvia a P.SOPRANI, in ISL,inserto n.9, 2006.

[17] La legge Finanziaria 2007 (l.n.296/2006) prevede, tra l’altro,  per il settore artigiano una riduzione dei premi INAIL per il 2007, nei limiti di 100 milioni di euro (art.1, comma 779); tale riduzione diventerà strutturale a partire dal 1 gennaio 2008, con priorità per le imprese in regola con tutti gli obblighi previsti dal d.lgs.n.626/1994 e dalle specifiche normative di settore, le quali: abbiano adottato piani pluriennali di prevenzione per l’eliminazione delle fonti di rischio e per il miglioramento delle condizioni di sicurezza e di igiene nei luoghi di lavoro, concordati con le parti sociali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e territoriale, anche all’interno di enti bilaterali,e trasmessi agli Ispettorati del lavoro; non abbiano registrato infortuni nel biennio precedente alla data di richiesta di ammissione al beneficio (art.1, commi 780-781). Più in generale per le novità contenute nella legge Finanziaria 2007 su salute e sicurezza del lavoro, cfr. P.SOPRANI,La sicurezza sul lavoro nella Legge finanziaria 2007, inISL, 2007, pp.57 ss.

[18] Cfr. le osservazioni di Cgil-Cisl-Uil allo schema di ddl delega sul Testo Unico, Roma, 21 dicembre 2006.

[19] Sottolinea come un esplicito riferimento all’art. 2087 cod.civ. ed al principio della “massima sicurezza tecnologicamente possibile” sia contenuto nella relazione di accompagnamento alla delega, C.FRASCHERI, cit.

[20] Evidenzia, dai termini utilizzati, la centralità delle differenze di genere ai fini della tutela C.FRASCHERI, cit.

[21] E’ forse da intendere quelli indicati nell’art.2, comma 1, lett.a), secondo e terzo periodo, d.lgs.n.626/1994   ?.

[22] Cfr. la raccomandazione del Consiglio europeo del 18 febbraio 2003, n.2003/134/Ce, relativa al miglioramento della protezione della salute e della sicurezza sul lavoro dei lavoratori autonomi (in GUCE del 28. Febbraio 2003), per un commento P.SOPRANI, Lavoratori autonomi: prospettive di sicurezza sul lavoro, in DPL,2003, pp.1367 ss.

[23] Cfr. sul punto M.LAI, Flessibilità e sicurezza del lavoro,cit.,p.46.

[24] Cfr. sul punto C.FRASCHERI, cit., secondo la quale la previsione non dovrebbe riguardare le sanzioni poste per la mancata “redazione del documento di valutazione dei rischi o autocertificazione; la tenuta del registro degli infortuni; la convocazione della riunione periodica…unica forse reale disposizione che andrà eliminata: la comunicazione ai servizi di vigilanza del nominativo del RSPP”.

[25] Rileva l’indeterminatezza della previsione C.FRASCHERI, cit.

[26] Ammenda fino a 20.000 euro per le infrazioni formali; arresto fino a tre anni per le infrazioni di particolare gravità; arresto fino a tre anni (attualmente sei mesi) o ammenda fino a 100.000 euro (oggi 4.000 euro) negli altri casi; pagamento di una somma di denaro fino a 100.000 euro per le infrazioni non punite con sanzione penale (sanzione amministrativa pecuniaria).

[27] Cfr. sul punto, anche per il controvalore in euro, G.NEGRI, cit.

[28] Cfr. in tal senso A.GUARDAVILLA e R.PAVANELLO, cit.

[29] Per il quale attualmente è previsto un obbligo formativo di sole 16 ore. D’altro lato a rigore il RLST non può definirsi un soggetto del sistema di prevenzione aziendale, agendo giustappunto prioritariamente a livello territoriale.

[30] Per riferimenti cfr. M.LAI, Flessibilità e sicurezza del lavoro, cit.,p.114.

[31] Cfr. art.1, comma 3, d.p.c.m. 5 dicembre 1997, Atto di indirizzo e coordinamento recante criteri generali per l’individuazione degli organi operanti nella materia della sicurezza e della salute sul luogo di lavoro.

[32] Si è evidenziato come alla base della validità di un’azione di responsabilità sociale d’impresa debba sempre  esserci il pieno rispetto degli obblighi di  sicurezza; cfr. C.FRASCHERI, cit.

[33] Già in Carta 2000-sicurezza del lavoro.

[34] D cui all’art.2, comma 1, lett.i), dlgs.n.276/2003; cfr. al riguardo il decreto interministeriale 10 ottobre 2005).

[35] Questo è uno dei punti qualificanti  del documento conclusivo dell’Assemblea dei quadri e delegati Cgil-Cisl-Uil, Roma, 12 gennaio 2007.

[36] Cfr., tra le altre, le proposte dei sindacati di categoria del settore edile, Filca-Cisl, Fillea-Cgil, Feneal-Uil, in Conquiste del lavoro, del 25 gennaio 2007, p.11.

[37] Cfr.infra

[38] Cfr. supra, nota n.12.

[39] Anche in tal caso vedi Carta 2000-sicurezza del lavoro.

[40]Nel rispetto delle disposizioni vigenti e in considerazione dei relativi principi di autonomia didattica e finanziaria”.

[41] Che prevedeva “l’inserimento della materia della salute e sicurezza sul lavoro nei programmi scolastici ed universitari e nei percorsi di formazione”.

[42]Anche riordinando il sistema delle amministrazioni e degli enti statali aventi compiti di prevenzione, formazione e controllo in materia e prevedendo criteri uniformi ed idonei strumenti di coordinamento”.

[43] Cfr. in particolare le misure previste dall’art.36 bis, d.l. n.223/2006, c.d. “decreto Bersani”, in M.LAI, Il diritto del lavoro tra emersione e regolarizzazione, in via di pubblicazione su DPL.

[44] Di un certo interesse è la proposta, già operante in campo previdenziale, di prevedere l’obbligo per gli ispettori di rilasciare verbali anche nei casi di constata regolarità, e ciò al fine di impedire contestazioni di inadempimenti relativi a periodi anteriori all’ultima ispezione, cfr. sul punto G.DONDI, Vigilanza e controlli, in L.MONTUSCHI (a cura di), Ambiente, Salute e Sicurezza. Per una gestione integrata dei rischi da lavoro, Giappichelli, Torino, 1997,p.247.

[45] E’ da  vedere con favore  l’incremento di organico degli ispettori del lavoro operato di recente, confidando in un analogo rafforzamento dell’azione di vigilanza svolta dalle Asl. Per il potenziamento del Comando dei carabinieri per la tutela del lavoro, cfr. da ultimo i commi 571/573, (art.1), della legge Finanziaria 2007.

[46] Cfr. art.3, comma 2, d.lgs.n.626/1994.

[47] Cfr.supra

[48] Cfr. al riguardo il protocollo d’intesa sottoscritto il 15 aprile 2004 tra le associazioni di categoria delle parti sociali e gli enti previdenziali per il rilascio del Documento Unico di Regolarità Contributiva (Durc). Con le circolari INPS  26 luglio 2005, n.92 ed INAIL 25 luglio 2005, n.38, dal testo unificato approvato dal Ministero del lavoro, si è data attuazione a tale convenzione; per i tratti essenziali della disciplina cfr. P.PENNESI-D.PAPA, Documento unico di regolarità contributiva: le regole per il rilascio, in DPL,2005, pp.1793 ss.

[49] E’ da sottolineare che la legge n.248/2006, di conversione del decreto n.223, dispone per una nuova disciplina del regime di responsabilità solidale in materia di appalti e subappalti (art.35, commi 28/34 del decreto stesso), che viene a completare quanto stabilito dall’art.29, d.lgs.n.276/2003 e successive modifiche ed integrazioni, tuttavia non ancora operativa per mancanza delle norme di attuazione.

[50] Cfr. sul punto C.FRASCHERI,cit.

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